Un mercoledì da caproni
Se seguite questo blog dagli inizi, ricorderete forse la mia fissazione per i COUGH, il cui secondo album, il colossale Ritual Abuse è, a mio modesto parere, uno dei migliori dischi doom degli ultimi anni, talmente carico di malessere e umori caprini da stracciare persino Black Masses, coevo ultimo sigillo degli Electric Wizard, citati troppo spesso a sproposito come principale musa ispiratrice dell’act di Richmond che, in attesa di una nuova prova sulla lunga distanza, spezza la tensione con questo Reflection Of The Negative, split con i concittadini WINDHAND, con i quali condividono anche un membro, il bassista sfascione Parker Chandler. A loro cura la traccia che apre l’ep, Athame, una marcia funebre di oltre diciotto minuti. Il brano dalla durata spropositata è un cimento nel quale prima o poi si misurano quasi tutti i gruppi che suonano ‘sta roba. Il risultato è, in questo caso, un po’ sconnesso e tedioso, e il malsano eclettismo che contraddistingue i Cough finisce purtroppo per ritorcersi contro di loro. Partono bene, tosti e ossessivi, poi la chitarra resta da sola, rientra la voce, si resta sospesi nel limbo, si riaffaccia la ritmica con uno svarione noise e si ritorna al riff. Ahimé, col fiatone. Il match lo vincono quindi ai punti i Windhand. Amaranthe fa pensare a degli ipotetici Alice In Chains che abbiano deciso di darsi allo sludge. In Sheperd’s Crook l’epica psichedelica emerge ancora più prepotente e si viaggia nello spazio felici. Il primo full, uscito l’anno scorso, mi era sfuggito. Il secondo lo attendo con curiosità. Reflection Of The Negative si trova tutto su bandcamp.
I BLACK CAPRICORN vengono da Cagliari, città dove sono nato e cresciuto, ma se vi consiglio di procurarvi il loro nuovo disco (successivo a un esordio omonimo che mi ero altresì perso) non è perché sono miei vecchi compagni di sbronze – anche se ricordo uno dei chitarristi nei Letame, beniamini delle assemblee di istituto casteddaie di fine anni ’90 – o perché mi hanno promesso una fornitura vitalizia di burrida e fil’e ferru. Born Under The Capricorn affonda le radici nel doom ottantiano più crudo ma dai suoi solchi trasudano goccioloni corrosivi di sludge (Tropic Of Capricorn), stoner sommesso (Double Star Goatfish) e psichedelia acida (la lunga title-track, forse l’episodio migliore). È proprio il saper innestare una simile varietà di atmosfere su una matrice piuttosto classica il maggior pregio dei Black Capricorn, che riescono così a non annoiare nemmeno quando puntano sulla ridondanza e a risultare potenzialmente appetibili ai cultisti dalle estrazioni più disparate. Azzeccati i suoni, grezzi, potenti e finalmente funzionali al contesto, anche se le chitarre soliste sono un po’ altine nel mix. Confessando la mia mediocre conoscenza delle tradizioni sarde, ammetto di non aver capito bene quale sia lo strumento a fiato che spunta qua e là. Il flauto di Pan, suppongo. Saludi e trigu.
Concludiamo con una salutare donna nuda sacrificata al Dimonio, che mette sempre di buon umore. Ecco a voi gli svedesi YEAR OF THE GOAT, al debutto con il sulfureo Angels’ Necropolis, grazioso giocattolo passatista barcollante tra estetica freak e satanismo vintage, come ci dimostra l’amabile video di questa Spirits Of Fire. Bellalì e che il Capro sia con voi:
Svelato il mistero (?) dello strumento a fiato. “Special guest on Capricornica: Paolo Tambaro played Launeddas (typical sardinian traditional instruments)” (http://blackcapricorn666.blogspot.com/search/label/music) Ed ora, lo sport.
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Diavolo, potevo arrivarci in effetti, mi cospargo il capo di bottarga
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Yum yum…
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grandissimi i black capricorn!linea allo studio
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come capre nel metal servono solo gli Archgoat
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L’ha ribloggato su mondoteo.
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