Music to light your joints to #18

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Dalla precedente puntata sono passati sei mesi e nel frattempo è uscita talmente tanta roba che, volendo recuperarne almeno la metà, bisognerebbe chiudersi in casa per un mese con un chilo di Amnesia Haze come unica compagnia. Per far finta di stare almeno un minimo sul pezzo, partiamo dunque da un’uscita nuova di zecca: The Serpent Only Lies, undicesimo full dei CROWBAR che hanno riaccolto tra le loro fila il vecchio bassista Todd Strange, andatosene nel 2000 dopo la registrazione di Equilibrium. Ora io non vorrei ritirare fuori il frusto stereotipo da conversazione al pub del musicista al quale la disintossicazione ha tolto ispirazione. Però Sever The Wicked Hand era stato un mezzo capolavoro perché all’epoca Kirk Windstein era all’apice del proprio calvario personale, stava smettendo di bere. Un Broken Glass è bellissimo per le stesse ragioni per le quali i dischi migliori degli Alice In Chains sono quelli nei quali Layne stava peggio. Ovviamente siamo tutti contenti per Kirk, anche perché sennò rischiava di lasciarci la pelle. Però è un dato di fatto: il precedente Symmetry In Black non aveva la solita magia perché il leader del gruppo si trovava in una situazione personale più serena. Lo stesso discorso vale per The Serpent Only Lies, che prosegue più o meno sulla stessa linea. I pezzi sono più ariosi, rilassati, melodici. Hanno titoli come As I Heal, Surviving The Abyss e The Enemy Beside You. Più chiaro di così. L’ultimo Eyehategod, invece, distrugge tutto perché Mike Williams sta ancora malissimo. Purtroppo funziona in questo modo.

inverlochNel 1993 un misconosciuto gruppo australiano, fattosi notare un annetto prima con il promettente mini Dusk, sconvolge l’underground con l’lp di debutto Transcendence Into The Peripheral, un angosciante incubo funeral doom che riprende, estremizzandole, le intuizioni dei Winter del capolavoro Into Darkness. Sarà il primo e l’ultimo album dei Disembowelment, che si scioglieranno subito dopo. I loro membri spariranno pressoché del tutto dalle scene finché, intorno al 2010,  il bassista Matthew Skarajew e il batterista Paul Mazziotta, che si erano ritrovati a cazzeggiare insieme nella formazione grind Pulgar, non metteranno su un progettino chiamato d.USK con il quale si diletteranno a suonare in giro il materiale della loro vecchia band. Da cosa nasce cosa e nel 2012 cambiano ragione sociale in INVERLOCH e si mettono a scrivere brani nuovi. Il risultato è un eccellente ep di tre tracce, Dusk | Subside, che lascia tutti con la bava alla bocca in attesa di un full che arriva solo oggi. Distance | Collapsed non delude e riesce a restituire la magia di quei suoni opprimenti e primordiali, tra aspre cavalcate death e soffocanti rallentamenti, senza suonare mai datato o stantio. Nel revival funeral doom hanno azzuppato in molti il pane negli ultimi anni ma pochissimi sono riusciti a replicare il senso di desolazione e la puzza di morte che esalano da brani come From The Eventide Pool. I dodici raggelanti minuti di The Empyrean Torment seppelliscono l’80% di quanto uscito nel settore negli ultimi anni. Da avere.

interarmaRestiamo in casa Relapse con due dei lavori più interessanti emersi nel 2016 da quella macroarea che chiameremo, per comodità. “sludge-postqualcosa”: The Curse That Is, con il quale gli statunitensi GRAVES AT SEA, esordiscono sulla lunga distanza dopo un decennio e passa di singoli e split, e Paradise Gallows, terzo sigillo degli INTER ARMA, che avevano fatto parlare parecchio di loro con il precedente Sky Burial, pubblicato nel 2013. Il primo è piaciuto tantissimo a Piero, il quale addirittura sta valutando di metterlo in playlist. Un giorno il nostro inviato a Cracovia dovrà farci una puntata speciale sulla scena polacca, mo’ che sono andato a trovarlo mi ha fatto sentire un paio di gruppi davvero notevoli, mentre il suo gatto obeso “Mostro” vedeva i fantasmi. Recuperate i Red Scalp e i Major Kong, per esempio. Quanto ai Graves At Sea, in apparenza sono l’ennesimo gruppo sludge americano medio che si è beccato il contratto con un’etichetta grossa perché il filone (nel quale i ragazzi si posizionano sul versante più classicheggiante e melodico) sta andando di moda, oltre a essere obiettivamente uno dei creativamente più felici degli ultimi anni. The Curse That Is, però, a differenza di tanti lavori analoghi, non si lascia archiviare subito, anzi, migliora con gli ascolti, rivelando suggestioni sia anni ’80 (i riff allla Candlemass di Dead eyes) che anni ’90 (i suoni di Tempest; The ashes make her beautiful, che guarda al doom/death britannico d’antan sin dal titolo). Gli Inter Arma, dal canto loro, continuano a non essere esattamente il mio genere: anch’essi americani, partiti da uno sludge abbastanza canonico, hanno aumentato ulteriormente il loro livello di eclettismo e psicosi, mantenendo però una sorta di paradossale commercialità nel loro intercettare le derive più moderne del metal estremo, in questo caso il revival dei Meshuggah e il post-death angosciante e lovecraftiano dei vari Ulcerate (a proposito, è uscito il nuovo) e Portal, e saldarle su un’ossatura che rimane post-hardcore. Io continuo a trovarli un po’ indigesti e tendenti a strafare. Poi un sacco di altra gente ne parla benissimo.

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Concludiamo con quello che, a mio modesto giudizio, è sia uno dei debutti dell’anno in campo doom che il miglior disco italiano uscito nel 2016 nell’ambito del genere. Stiamo parlando dell’impressionante lp omonimo dei siciliani HAUNTED, che al momento si giocano con i Windhand la palma di epigono più illustre dei vati Electric Wizard. Meglio dei Dopethrone, meglio degli ultimi Cough, forse meglio persino del materiale più recente degli stessi Windhand, ai quali li accomuna il bilanciamento tra frangenti più ariosi e altri maggiormente basati sul riff, nonché la presenza di una donna dietro il microfono, la brava Cristina Chimirri. Rispetto agli americani, gli etnei suonano però meno psichedelici e più classici e ottantiani (sentitevi Watchtower). Si sono formati appena l’anno scorso. Era uscito giusto un singolino poco prima dell’album, pubblicato lo scorso 31 agosto. Catania (che ha dato i natali agli Schizo, ai Sinoath e ai fratelli Orlando dei Novembre) è sempre stata una città con un giro musicale piuttosto attivo ma nessuno dei membri degli Haunted, che ragazzini non sono, sembra vantare esperienze in band locali di un certo rilievo, né avevo mai sentito nominare l’etichetta che li ha messi sotto contratto, la Twin Earth Records di Waycross, Georgia. Proprio per questo appena è partita Nightbreed sono saltato dalla sedia e nei mesi scorsi ho riascoltato questo disco in loop anche per cinque o sei volte di seguito. Suoni, riff, atmosfera, è tutto perfetto, c’è tutto quello che un vero seguace del narcosatanismo può desiderare. Questi già l’anno prossimo dovrebbero stare nel cartellone del Roadburn, per quanto mi riguarda. Se pensate che stia esagerando o che gli Haunted mi abbiano corrotto con una fornitura annua di salsicce di maiale di Nebrodi e cavolo trunzu, ascoltate lo streaming qua sotto e ditemi voi. (Ciccio Russo)

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