L’ultimo sigillo: HOLY MOSES – Invisible Queen

Al debutto lei neanche c’era. Era la demo Black Metal Masters e il peso specifico di quel titolo, nel 1980, non era neppure calcolabile. Il membro fondatore Ramon Brusseler, bassista, resse il timone sino al primo album effettivo Queen of Siam, uscito sei anni dopo. In un’annata in cui chiunque faceva cose assai più importanti degli Holy Moses.
La svolta per la band di Aachen fu quella d’aggiungere, nel 1981, un chitarrista di nome Andy Classen. Che molto probabilmente vi dirà qualcosa. Classen fu raggiunto in breve da una ulteriore new entry, la cantante classe 1963 Sabina Hirtz, che sposò poco più tardi. Gli Holy Moses non erano più la band di Ramon Brusseler, erano ufficialmente di quei due. Tentarono di far diventare la faccenda una sorta di macelleria di Compiobbi a conduzione familiare allorché Sabina tirò dentro perfino il fratello, Tom. Il quale non durò niente.
Il resto è storia, dall’aggiunta alla batteria di quel fenomeno di Uli Kusch, poi negli Helloween, alla pubblicazione dei due lavori migliori, Finished With the Dogs e soprattutto New Machine of Liechtenstein sul finire degli anni Ottanta. Ma anche i risvolti negativi, con Sabina, ora all’anagrafe una Classen, costretta ad affrontare negli anni un pericoloso incidente in moto, un tumore, il divorzio con Andy Classen. Poi un progetto inconsistente, i Temple of the Absurd, con quel logo identico alla copertina di God Hates us All; infine la reunion degli Holy Moses un po’ troppo in scia all’aggressività e agli sciapi proclami dei Destruction. Una nuova storia, dunque, cominciata nel 2001 con Master of Disaster, canzone uscita in sordina nell’anno della celebrazione thrash di Sodom, Kreator e Destruction, ma che ricordiamo un po’ tutti.
Anche la seconda tranche della storia degli Holy Moses è giunta al termine, ha annunciato un po’ di tempo addietro la stessa Sabina Classen, ormai sessantenne e sinceramente anche un po’ afona. Penso che i tempi fossero del tutto maturi per questa scelta. Dall’anno della reunion si sono susseguite altre pubblicazioni, l’ultima delle quali datata 2014 e intitolata Redifined Mayhem. Nessuno di codesti album l’ho trovato del tutto sbagliato; nessuno, però, ha lasciato il segno nella mia testa come quella Master of Disaster e qualche passaggino ruffiano dentro Disorder of the Order. Sabina Classen ha fatto il possibile pur di chiudere in grande la sua carriera: Invisible Queen conta dodici canzoni e ventiquattro tracce. La seconda metà è composta dai medesimi pezzi cantati da un ospite d’onore. I nomi di spicco, in tal senso, si sprecano, da Bobby Ellsworth in un periodo ricco d’impegni fra la registrazione di Scorched e l’annesso tour promozionale con gli Overkill; poi Tom Angelripper e Gerre dalle migliori scuderie (o birrerie) del thrash metal tedesco e Jens Kidman direttamente dai Meshuggah, che rivitalizza uno dei brani migliori della scaletta, Too Far Gone. Purtroppo la sensazione è che gli ospiti, in svariate occasioni, diano una marcia in più ai brani originariamente cantati da Sabina, di cui ben ricordo le urla strazianti all’epoca di Necropolis o Near Dark.
I momenti migliori sono Order Out of Chaos e la title track, quest’ultima un tentativo di spostare le musiche su una certa modernità abbinando il tutto a un ritornellino alla Arch Enemy che ci sta come l’ananas sulla pizza. Per il resto la sezione ritmica offre una buona prova, specie il bassista Gerd Lucking (Downfall of Mankind apre l’album con una sua sezione solista), che si è occupato anche di parte del processo di produzione dell’album. Bellissimo l’attacco di batteria di The New Norm, mentre Peter Geltat, alle chitarre, complici le sue ripetute dissonanze e un certo ostentato shredding negli assoli, ha perlomeno il merito d’aver parzialmente tolto dagli ultimi Holy Moses l’etichetta di semplici thrasher tedeschi sulla scia dei Destruction meno sostanziosi. Insomma, una formazione funzionale e che, non a caso, era stata riconfermata in toto dall’ultima pubblicazione in studio.
Nel caso apprezziate la cicala, fra gli ospiti sono presenti anche Diva Satanica, che avete conosciuto con le Nervosa, Daniela Karrer degli Headshot, Marloes Voskuil degli Haliphron e una certa Raegina che onestamente non so chi cazzo sia. C’è anche Andy Classen fra i produttori che si sono occupati della registrazione.
Album di sufficiente fattura su cui non spenderò un’altra parola che sia una. La cosa importante è che gli Holy Moses chiudono ufficialmente la loro carriera, e lo fanno con un qualcosa che tanto non riascolterò mai. È l’atto, la celebrazione, l’unica cosa che conta qua dentro. Quel che mi importa degli Holy Moses rimarrà per sempre nel cassetto della mia memoria, e sono tre ottimi album, uniti all’iconica cover del classico dei Dead Kennedys Too Drunk to Fuck e all’imprescindibile simpatia di Sabina Classen, un personaggio meraviglioso che ho avuto il privilegio di intervistare dopo l’uscita di Disorder of the Order. Non dimenticherò quella chiacchierata, quando, totalmente fuori controllo, a distanza di pochissimo tempo al telefono avevo prima detto ad Angela Gossow che non mi era piaciuto il piglio di Wages of Sin, suscitandone la risata isterica, e poi alla Classen che era una Milf. Professionalità, sempre. (Marco Belardi)
ragazzi ma nessun articolo sulla ri registrazione di morbid vision dei cavalera? e una bomba.
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Mi risulta che stanno scrivendo qualcosa, io ho sentito solo il pezzo in anteprima
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