I professoroni del riffazzo: OVERKILL – Scorched

Devo essere franco e dirvi che mi rendo pienamente conto solo ora che tra The Electric Age e questo ultimo Scorched sono passati altri tre album. Il primo di questi, White Devil Armory, che ho sentito appena uscito sulla scia dell’entusiasmo generato dal predecessore, forse il migliore album degli Overkill dai tempi di Horrorscope o comunque al livello di Ironbound, mostrò un prevedibile calo di forma. Ellsworth e soci in questo XXI secolo avevano fatto anche troppo, regalandoci due perle consecutive di quel livello.
Di White Devil Armory vidi anche una data del tour, a conferma che i neroverdi dal vivo sono uno dei gruppi più devastanti che siano mai esistiti. Poi, visto che l’album era un onesto passo indietro dopo le due mine sopraccitate, persi un po’ le tracce degli Overkill e a oggi non ricordo di avere mai sentito The Grinding Wheel e The Winds of War. Mea culpa.
Questo Scorched conferma però una cosa che si sapeva, ovvero che, tra i vecchi mostri sacri di questo genere, gli Overkill, assieme ai Megadeth, sono praticamente gli unici che, tra suoni ovviamente modernizzati ma tutto sommato più che accettabili, hanno conservato l’istinto assassino e riescono praticamente sempre a piazzare il riff letale quando ce n’è bisogno. Ci metterei anche gli Exodus, che però hanno un grandissimo problema che limita enormemente la presenza sull’ultimo disco di professoroni del riffazzo come Gary Holt e Lee Altus, ovvero il loro accanimento al volere sempre una produzione iperplasticosa che rende ogni cosa che fanno uscire pressoché inascoltabile. Una specie di Donatella Versace del thrash.
Ma tornando a Scorched, le soluzioni sono sempre quelle giuste al momento giusto, e, se l’iniziale pezzo eponimo serve giusto a riscaldare l’ambiente, poi lo stesso ambiente si fa rovente con The Surgeon e Twist of the Wick, classiche marcette in stile Overkill che non fanno prigionieri. Proprio la medicina adatta.
A metà disco subentra quella che io chiamo la “smania boogie woogie” degli Overkill, che in verità è soltanto una vena groove enorme che hanno sempre avuto da The Years of Decay in poi e che ha generato anche degli spin-off come i The Bronx Casket Co. The Wicked Place, Won’t be Coming Back e Fever sono quindi un momento di assestamento che però non fa perdere d’occhio le priorità, cioè il piazzare il riff vincente. Le corse a rotta di collo tornano rassicuranti verso il finale, e i cinquanta e passa minuti scorrono in letizia. Tutte le cose che ho detto su Blitz e soci qua sono risapute, ma accertare che siano sempre là trasmette una sensazione di sicurezza come una calda coperta o il camino acceso in un inverno particolarmente rigido, o se preferite come il suono “klanky” di DD Verni. (Piero Tola)
L’ho comprato venerdì scorso al concerto e lo devo ancora ascoltare. Dal vivo mi hanno divertito un casino, anche perché per un motivo o per l’altro non ero mai riuscito a presenziare. Comunque, a parte il periodo primi duemila tra Bloodletting e ReliXIV, su disco hanno sempre viaggiato tra il buono e l’ottimo. Solo amore per il basso di Carlo Verni.
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Disco della madonna, mi esalta, mi diverte e mi fa scapocciare.
Io non riesco a capire come si faccia a scegliere di comprare il mappazzone canarino con la mostra di oggettistica piuttosto che un album come questo. E non parlo solo di gente che col metal ha un rapporto occasionale. Parlo di gente che ascolta metal da oltre trent’anni.
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Concordo.
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E’ sempre un piacere risentirli, era da un bel po’ che non tiravo fuori un loro disco. Oddio, guardando il video ho visto che sono spariti i capelli di Verni, me lo ricordavo riccioluto, come l’unica volta che li ho visti a Monaco nel 1990, gran concerto.
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