Il confessionale: KREATOR – Renewal

Una volta che i Metallica ebbero messo la freccia, non rimase che la possibilità d’adeguarsi e ricercare la propria strada. Non fu soltanto una questione americana e, come prevedibile, si ramificò in svariate direzioni.

Generalmente lo facevi per quattrini, ingolosito dal successo planetario di Enter Sandman e dalla visione di tutta quella gente ululante schierata a Mosca, in un’annata che, discograficamente parlando, vedeva i successi di Pearl Jam e Nirvana, Metallica e Guns‘n’Roses, oltre ai popolarissimi Queen, U2 e R.E.M. Coi nomi appena citati i Metallica spartivano i numeri grossi, quelli che contavano. Non solo: essendo uscito grossomodo in agosto, il Black Album non ebbe un riscontro discografico immediato ma piuttosto dilatato nel tempo, che i quattro sfruttarono a piene forze in tournée nei due anni a seguire.

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Nel 1991, tuttavia, se il thrash metal non era morto lo si doveva al maturo Arise dei Sepultura, il quale sostituì ai riff solidi e strutturati di Beneath the Remains una natura più cupa e violenta che lasciava già intravedere il groove che avrebbe caratterizzato il titolo successivo. Oppure al successo crescente dei Pantera, per i quali era ancora un po’ presto. Il techno thrash, inoltre, era imploso subito dopo il capolavoro dei Dark Angel. Dunque, se non lo facevi per quattrini, lo facevi per la necessità di sopravvivere come artista, come creativo, come devoto nei confronti di un qualcosa che al momento non si capiva se fosse solido oppure fragilissimo.

Americani e tedeschi produssero, chi più chi meno, a seconda di quanto fosse importante e influente sulle classifiche il mercato d’appartenenza, cose come il qui discusso Renewal. Titoli come Force of HabitThe Ritual o l’imbarazzante Them not me non fecero che cancellare nelle menti dei metallari l’inarrestabile avanzata dei principali gruppi thrash metal, avvenuta fra il 1983 e (grossomodo) il 1991. I Kreator cambiarono anch’essi registro, e radicalmente.

Nel 2022 ancora non comprendo con precisione quale sia la mia idea su questo album. Ma so con certezza che ci sono affezionato, e tanto. Per quanto ritenga Outcast un lavoro più “mirato”, il cui classico per eccellenza, Phobia, regge da sé tutta quanta la baracca, Renewal è quanto di più sincero i Kreator abbiano artisticamente sviluppato da Extreme Aggression in poi. Se Extreme Aggression coi suoi suoni prosciugati e le sue strutture elaborate poté esser considerato l’album dei Kreator più maturo e attuale (erano i tempi di …and Justice for All e del techno thrash, e in qualche modo ne risentì eccome), Coma of Souls mi lascia tutt’ora con l’amaro in bocca poiché, pur essendo un ottimo album, non aggiunge niente di niente a una forma che aveva raggiunto la perfezione. Anzi la semplifica, andando ad esaltare le sole melodie e forma-canzone. Coma of Souls fu per i Kreator quello che per gli Slayer era stato Seasons in the Abyss, un bellissimo disco d’entrata da consigliare ai neofiti che volessero avvicinarsi a quel determinato gruppo. Soltanto che Seasons in the Abyss divenne (almeno per un certo periodo) il disco preferito degli Slayer per un sacco di gente; i Kreator avevano innegabilmente fatto di meglio, nonostante People of the Lie e Terror Zone vestissero l’abito del classico sin da subito.

Renewal rinnega tutto questo. Sputa sul raggiungimento di una forma perfetta e la smonta da cima a fondo. Rifà tutto da capo con minimalismo. È un album musicalmente distante dal thrash metal ma concettualmente e attitudinalmente più thrash metal di Coma of Souls: è un cane rabbioso che alterna groove e sparate violentissime, fasi punk a fasi non velatamente industrial. È un album uscito di getto, senza troppi fronzoli, coi rari assoli di Frank Blackfire spesso impostati su rumorosissimi fischi di natura slayeriana. Coma of Souls era formalmente perfetto, e forse la sua perfezione è quel che ha rovinato il thrash metal nel momento in cui si comprese che non c’era alcun luogo in cui andare a parare, se non ricominciando daccapo.

Renewal ha mille difetti. Mille Petrozza nel rivedere il suo stile canoro è costantemente in fase di rodaggio, sguaiato, aggressivo, ora un pizzico fastidioso. I pezzi non sempre decollano, e sarà un problema pure del successivo Cause for Conflict in cui almeno la parte sonora (grazie soprattutto al batterista Joe Cangelosi) sarà maggiormente a fuoco. Ma Renewal ha una forza d’animo e una cazzutaggine che mai rivedremo nei Kreator, ricordatevelo. Discreta prova di Ventor, sempre impegnato a servire lealmente la canzone e autore di alcuni dei migliori passaggi e fill della sua carriera: metterei la sua prestazione allo stesso livello di quella offerta in Terrible Certainty (a parte questi due album, non ho mai sbavato per Jurgen Reil).

Un disco da accettare al netto dei suoi grossolani difetti, che i Kreator neanche provarono a nascondere con il suono elaborato dei vari Coma of Souls o Violent Revolution, veri inni alla melodia e all’easy listening nei quali non rivedo l’anima reale dei Kreator. Le bestie idrofobe di Pleasure to Kill, gli schiacciasassi macinariff del meraviglioso Extreme Aggression ben fecero a inciampare in un incidente di percorso, che, come questo, li indirizzò verso un decennio di sperimentazioni e continui mutamenti che oggi molto semplicemente rimpiango. E se non ho minimamente accennato ai pezzi, molto banalmente dico Europe After the Rain, da ascoltare a ripetizione. (Marco Belardi)

2 commenti

  • Mi accostai a questo platter in maniera timorosa , avendo letto recensioni che parlavano di svolta industrial… sicuramente è un disco più riflessivo e intimista, e dopo la furia costante primi 5 album , un necessario momento per tirare il fiato…. purtroppo è anche l ultimo album di Rob Fioretti.

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  • Io penso che i Kreator, come tantissimi altri, siano sempre stati fondamentalmente dei gran paraculi. Pronti a buttarsi sul trend del momento per restare a galla, soprattutto in un periodo storico dove il mercato(quando esisteva ancora) ti imponeva costantemente di cambiare. Il problema è che ai tempi ciò che andava per la maggiore era in gran parte roba parecchio figa, tutto il contrario della poltiglia antologica che è il metal al giorno d’oggi.

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