Eppure non me la sento di parlarne male: PEARL JAM – Gigaton
Con i suoi echi new wave alla Talking Heads, il primo singolo, Dance of the Clairovyants, uscito a gennaio, aveva preso alla sprovvista un po’ tutti. Veniva quasi da pensare che i Pearl Jam, creativamente morti dopo Vitalogy, avessero impiegato i sette anni successivi a Lighting Bolt a scrivere un disco davvero sperimentale, tale da giustificare non solo l’attesa ma anche una durata spropositata (57 minuti). Basta arrivare al ritornello dell’apripista Who Ever Said per capire che si trattava di una botta di vita isolata. Per il resto abbiamo il solito rassicurante rock generalista da stadio che con gli anni ha finito per farci accostare Eddie Vedder a Vasco Rossi con la differenza che il secondo, pur essendo umanamente molto più stronzo, sotto altri aspetti rimane più tollerabile perché anche a sessant’anni e rotti continua a parlare di droga e fregna laddove quell’altro, ferendo mortalmente il nostro sedicenne interiore, è finito per entrare suo malgrado nella narrazione nazionalpopolare italica facendo inalberare la nuova icona sovranista Rita Pavone per poi tirare su un concept sul cambiamento climatico, perché tale è ‘sto Gigaton, calandosi appieno nello zeitgeist gretino.
Tutto ciò mi va benissimo, figuratevi, non è che i proclami politici dei tempi di Woodstock fossero più profondi, era il contesto che era diverso: allora si poteva credere in tante cose in serenità anche se poi era tutto un paravento per scopare e strafarsi. E, a dirla proprio tutta, il ragazzino che oggi va a manifestare contro il riscaldamento globale sta comunque messo molto meglio del suo coetaneo degli anni ’70 pronto a sfasciare la testa con la chiave inglese a chi nutriva idee politiche diverse dalle sue. Mi va molto meno bene essermi illuso per una manciata di brani di avere davanti il miglior disco dei Pearl Jam dai tempi di Yield a pari merito con Backspacer (no, Belardi, siamo seri, Riot Act ha un bel singolo ma tutto il resto si dimentica in dieci secondi). E invece col fischio, amici del vero ruock.
Per la prima metà quell’equilibrio tra vena hard rock e anima folk da bovari che aveva reso Backspacer un album, se non memorabile, quantomeno gradevole regge. Superblood Wolfmoon è un bel pezzo tirato. Quick Escape mostra un Vedder ancora in grado di tirare fuori ritornelli da arena (la sua capacità di rendere espressiva anche la lettura dell’elenco del telefono riscatta più di un momento altrimenti anonimo). Seven O’ Clock ha quel pathos springsteeniano che i Pearl Jam rincorrono dai tempi di No Code azzeccandoci una volta su tre. Il resto dell’album, giocato su atmosfere più cantautorali e soffuse, perde la presa di ambizioni manco troppo chiare e affonda nella noia, tanto che a rimanere impressa è soprattutto la tremenda Buckle Up, una delle canzoni più stupide mai incise dalla band.
Eppure non me la sento di bocciare Gigaton, e non solo perché, a mondarlo da riempitivi e giri a vuoto, si tirerebbe fuori un buon dischetto di 33-34 minuti. Lighting Bolt non era solo un album brutto, era pure un album fastidioso, perché nella sua falsa ruvidezza, nel suo approccio lo-fi posticcio, cercava – un po’ come l’omonimo del 2006 – di dar sfoggio di un lato punk e minimale che non era mai appartenuto ai Pearl Jam, che furono da subito rockstar, all’inizio atipiche e in seguito le più canoniche che si possa immaginare. Molto più sincero questo Gigaton, iperprodotto, iperarrangiato (che belle robine che fa Ament col fretless) e un po’ trombone come è giusto che sia l’undicesimo Lp di un gruppo di milionari ultracinquantenni serenamente bolliti. Almeno hanno smesso di fingere di essere qualcosa che non sono, almeno hanno smesso di prenderci per il culo. Perché, se proprio non si è in grado di levarsi dalle palle quando è il momento, almeno bisogna saper invecchiare. Che non significa solo non lasciarsi andare troppo ma pure non vergognarsi delle rughe. (Ciccio Russo)
Continuo a pensare che l’ultima cosa buona fatta da Vedder negli ultimi 20anni sia l’acustico per Into the Wild.. E poi, inutile nascondercelo, questi hanno perso la cazzimma da decenni! A sto punto meglio Vasco Rossi
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Ogni volta che dici “meglio Vasco Rossi”, i Blind Guardian aggiungono uno strumento ad arco alla loro formazione e gli Arch Enemy pubblicano un nuovo disco.
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Non ho ancora trovato la voglia di sentirlo. Secondo me lighting bolt non era brutto, sempliciotto ma gradevole. Evviva l’ukulele
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Interessante l’ accostamento con zio Vasco che non necessariamente dovrebbe fare schifo, sono anche d’ accordo sull’ espressività, alla Vittorio Gassman quando leggeva in tv le bollette dell’ enel, di zio Vedder .
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Tra l’altro Vittorio Gassman è pure presente nel gruppo. È quello a destra nella foto dell’articolo
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Chi cazzo è il capellone sulla destra? Pare la versione invecchiata di Frankie dell’A-Team. Ovvero quello che non c’entrava un cazzo.
Io mi fermo a Binaural, sbagliatissimo e bollito, ma la buttava tutta sulla depressione cosmica e a me andava bene così.
Comunque grazie per le tag. Ho riso mezz’ora.
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Chi cazzo era Frankie dell’A-Team?
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https://www.google.com/search?q=frankie+a+team&oq=frankie+a+tea&aqs=chrome.1.69i57j0l3.6673j0j9&client=ms-android-xiaomi-rev1&sourceid=chrome-mobile&ie=UTF-8#imgrc=G8S02Xe8SCGRgM:
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Frankie Santana was a Puerto Rican special effects expert who helps the A-Team during the series’ final season. He was blackmailed into joining the team by Gen. Hunt Stockwell (Robert Vaughn) after he and Murdock helped the team escape the firing squad.
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L’ho già ascoltato tre o quattro volte, il che quanto meno triplica la mia media di ascolti dei loro album a partire da riot act. Non è tanto male, dai. Il ruffianissimo ritornello di Who Ever Said è talmente pearljamiano da farmi commuovere, perchè potrebbe sembrare una outtake di Ten. E Seven O’ Clock vale da sola uno degi ultimi album a caso del Boss. Forse esagero? Può essere, ma se non sbaglio Vedder ha 55 anni, e parecchi musicisti alla sua età più che bolliti erano decomposti.
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Non le avevo lette, grazie.
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Il capellone a destra è il tastierista aggiunto
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Dopo il primo album hanno sempre fatto un passo verso il nulla.
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