Jack Starr’s BURNING STARR – Stand Your Ground

A sei anni di distanza dal precedente Land of the Dead batte un altro colpo l’ottimo Jack Starr, una delle poche persone che nell’anno di grazia 2017 (o 2018, fate voi, visto che recensiamo qua con colpevolissimo ritardo) può alzarsi in piedi e battersi il petto con orgoglio mentre pronuncia le parole “power” e “metal”. Perché Jack Starr è stato uno dei primi fondamentali fautori e forgiatori del cosiddetto US power metal, per chi, come a quei nerd di Metal Archives, piace appiccicare le etichette sui barattoli. E lo fu, dicevamo, al pari di Mark Reale o quasi, visto che diede forma e stile ad un genere che portò alla ribalta gente come appunto Riot, Virgin Steele, Savage Grace, Omen e così via. Ed è inoltre doveroso parlare di chi mantiene ancora alta la fiamma e le speranze di sentire un solido, semplice e incontaminato album di heavy metal in questi tempi bui. Sia che si tratti dell’ottimo Firepower che di questo altro gioiellino. Il ritardo è dovuto al fatto che, come dicevo agli esimi colleghi di MS in questi giorni, ci siamo inspiegabilmente dimenticati di paralare di quello che, a conti fatti, è uno degli album migliori del 2017, ingiustamente assente da tutte le playlist.

Jack Starr non ha certo bisogno di presentazioni. Chitarrista tanto versatile nello stile quanto solido in fase compositiva, con una vena melodica che gli permise di cimentarsi in diversi progetti (sentitevi A Minor Disturbance del 1990) e che divenne marchio di fabbrica inconfondibile anche dei Burning Starr, sua creatura dedita all’heavy power metal ormai esistente dalla metà degli anni Ottanta. Un progetto che è cominciato con l’indimenticabile Rock the American Way, prodotto senz’altro influenzato dal rock delle grandi arene, come si soleva chiamarlo ai tempi: un album senza neanche un riempitivo, i cui pezzi si stampano in testa dopo il primo ascolto e al secondo si stanno già cantando a squarciagola. Il progetto è poi proseguito con virate più decise verso l’acciaio temprato come il possente No Turning Back! e Blaze of Glory. Tutti album bellissimi e da recuperare, per chi non li conoscesse. 

Nel 2017 i Burning Starr sono tornati con la caratteristica copertina alla Frank Frazetta e con una formazione ormai stabile da una decina d’anni circa, che vede alla voce l’incredibile Todd Michael Hall, scelto poi dai Riot V come frontman per farne l’asso nella manica dopo il rilancio della gloriosa band newyorchese, orfana del mai troppo compianto Mark Reale, e Kenny Earl Edwards, che voi tutti conoscerete come Rhino, alla batteria. Direi che sono altri due motivi per prendere serissimamente questa uscita.

Rhino è rimasto indelebilmente nel cuore del vostro affezionatissimo dai tempi della prima adolescenza, quando un giorno un amichetto venne a casa con la cassetta registrata dell’allora ultimo album dei Manowar, dicendomi: “Devi sentire questo figlio di troia, credimi, una doppia cassa così non l’hai mai sentita”. Che botte, ragazzi. Sapete tutti di cosa sto parlando, ovviamente.

Ma tornando all’inattaccabile Stand Your Ground, provate a sentire le prime due, Secrets You Hide e The Enemy. Riff melodici e incisivi, come da tradizione il leitmotiv dell’album, sostenuti da un inarrestabile tappeto ritmico che scorre come fosse vino alla sagra del Cannonau di Dorgali, condito dai bei fills di Rhino, mai banale e sempre possente. E poi i dieci minuti della titletrack, dieci minuti che volano e in cui muoverete le gambe come se ci foste voi sullo sgabello dietro i tamburi, e che si chiudono con un inaspettato finale melodico e ispirato.

Jack Starr ha sempre avuto un debole per le ugole d’oro. Ci ricordiamo tutti del povero Rhett Forrester e della potenza espressa sul classico Out of The Darkness, altro fulgido esempio di power metal americano, paradigmatico di come si sarebbero dovute fare le cose al tempo. Todd Michael Hall spacca, amici. Sentire la gammarayiana Destiny o Sky is Falling per credere. Mi ha colpito in particolare la somiglianza del suo timbro a quello di un altro talento naturale come lui, quel fenomeno di Michael Sweet. In generale il range, la pulizia e l’espressività ne fanno il giusto erede di una tradizione che ha come predecessori gente come Mike Tirelli, Guy Speranza o Tony Moore. Potrei citare qualsiasi altro pezzo, come la ballad Worlds Apart, che allenta la tensione prima di ricominciare a fare scuola di heavy metal con la seconda parte dell’album, forse più classicheggiante a tratti, e un po’ meno power metal.

Due parole ancora vanno dette su Jack Starr, che da sempre ormai va dritto per la sua strada, senza vivere all’ombra di niente e nessuno, rimanendo anche un esempio di pacatezza, almeno stando parole rilasciate anni fa riguardo l’affaire Virgin Steele, una querelle che si protrae ormai da decenni tra lui e Dave DeFeis, amici-nemici che si prendono e si lasciano. Quando ormai i dissapori sembrano chiariti, ecco lo scazzo che cambia le cose, con progetti che svaniscono nel nulla e il risvegliarsi di antiche antipatie. Ricordiamo che Jack Starr fu cacciato dalla band da lui stesso fondata, e sul cui nome perse anche i diritti. “Probabilmente non piaccio a David e non capisco il perché. Il suo gelo nei miei confronti rende certamente difficile ogni possibile collaborazione. Ad ogni modo preferisco essere diplomatico sulla questione, perché la vita è breve e non c’è tempo per i rancori e la negatività. Entrambi abbiamo fatto parte di un qualcosa che ha superato la prova del tempo e possiamo esserne orgogliosi”. Immaginate se tutti gli ex chitarristi cacciati in malo modo da band divenute famose l’avessero pensata così… (Piero Tola)

2 commenti

  • Ne parlai anche sul mio blog in tempi non sospetti: uno di quei dischi che pur passando in sordina hanno veramente tanto da dire.

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  • Confermo tutto, presente tassativo nei miei ascolti, l’ultimo album è meraviglioso. Epicità a carriolate, riff ottimi, la voce del cantante è meravigliosa. Power di classe, altro che altre band blasonate.

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