Avere vent’anni: MAYHEM – Wolf’s Lair Abyss
Ormai i Mayhem sono finiti per essere considerati un gruppo normale, che va in giro, rilascia interviste, ogni tanto fa uscire un disco, cambia tranquillamente formazione, eccetera. L’altro giorno i miei compari sono andati a vederli che risuonavano tutto De Mysteriis Dom Sathanas, e tra l’altro pare che abbiano pure fatto un po’ schifo, o forse erano solo i suoni che non erano settati bene, non lo so, non c’ero. In compenso c’era Attila Csihar alla voce, che ormai è considerato quasi il cantante storico. Tutto ciò è comunque estremamente straniante. Per me i Mayhem rimarranno sempre un’entità astratta, un’idea platonica di pura oscurità indipendente dai supporti fisici su cui qualcuno ha stampato il loro logo sopra. È naturale che col tempo tutto si normalizzi, ma eliminare la componente sacrale dai Mayhem non ha fatto bene a nessuno: né a noi, né tantomeno a loro.
Sentire questo tipo di discorso nel 2017 può sembrare pedante, ma tant’è. Vent’anni fa, invece, alla notizia della reunion dei Mayhem, era la norma. Euronymous era morto, Dead era morto, e con loro lo stesso concetto dei Mayhem. Come si permettono Hellhammer e Necrobutcher, si diceva, a calpestare in questo modo la memoria di un gruppo in cui sono sempre stati null’altro che figuranti? Con che presunzione si arrogano questo diritto? Poi uscì Wolf’s Lair Abyss.
Quattro tracce più intro. Artwork minimale, niente baracconate, niente face painting, niente teatralità. Niente puttanate. Alla voce Maniac – lui sì il cantante storico dei Mayhem – e alla chitarra Blasphemer, il tizio degli Aura Noir, appena 22enne, messo appositamente lì a fare il compositore principale e lider maximo, perché gli altri (ormai quasi trentenni) avevano avuto quantomeno la decenza di capire di non essere in grado. E non ci crederete, ma non ci fu una sola recensione negativa: nonostante i distinguo morali, quei 25 minuti di musica erano inattaccabili da qualsiasi punto di vista. Di più: Blasphemer guadagnò immediatamente il rispetto di tutti per il modo in cui aveva preso in mano la situazione. Il chitarrista non cercò di copiare lo stile di Euronymous, né rese i Mayhem una normale band di black metal, magari ammorbidendo il suono per venire incontro alle ultime tendenze in stile Enthrone Darkness Triumphant. Al contrario, Wolf’s Lair Abyss è un disco intricato e cervellotico, che pur rimanendo saldamente black metal ne porta avanti la prospettiva, senza scadere in melodie facilone o goticherie assortite come iniziava ad andare di moda all’epoca; e nel contempo non è mai banale, neanche per un istante. Ma, soprattutto, non ha musicalmente nulla a che vedere col De Mysteriis: questi sono i Mayhem di Blasphemer, non c’entrano nulla con i vecchi Mayhem né vogliono sembrarlo.
Raramente un disco ha sfiorato la perfezione assoluta come in questo caso. La cosa più difficile era rendere l’operazione concettualmente credibile, date le circostanze: e questo, come detto, è assurdamente riuscito. Ma non è tutto: il suono è perfetto, la batteria di Hellhammer è perfetta, il lavoro di chitarre di Blasphemer è perfetto, e le linee vocali di Maniac, come scritto in una recensione dell’epoca, sembrano le urla disperate di un malato mentale con la bocca deformata di lato; il che era inteso come un complimento, ovviamente, tantopiù che il Maniac del 1997 non assomigliava per niente a quello sentito su Deathcrush, in cui era un normale screamer indistinguibile dagli altri. E poi c’è l’ultimo pezzo, Symbols of Bloodswords, una delle cose migliori mai fatte in ambito black metal evoluto, con un riff che, se fossi Blasphemer, me lo farei tatuare sulla pelle. La storia del black passa inevitabilmente da qui. (barg)
Tanto magis infra se cecidit
Quanto magis se contra gloriam
Sui conditoris erexit
“Per me i Mayhem rimarranno sempre un’entità astratta, un’idea platonica di pura oscurità indipendente dai supporti fisici su cui qualcuno ha stampato il loro logo sopra”. Direi che questa è la ‘verità’/Verità sui/dei Mayhem!
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Il primo disco black metal che comprai in tempo reale, appena uscito, fu A blaze in the northern sky. Mi fece talmente schifo al cazzo che pensai persino ci fosse un errore di editing nel mixing della mia copia. Lo rivendei seduta stante…eheheh. Coglione, certo, ma l’episodio fa capire quanto fosse un genere rivoluzionario il black metal di inizio anni 90. Anni…già, ce ne vollero ancora un paio prima di capirne, personalmente, la portata. Poi fu amore, vero, nero, assoluto. Uno dei primi 5, 6 lavori che riuscii a capire subito, fu De Mysteriis. Non ascoltai altro per settimane, forse mesi. E ogni volta riusciva e turbarmi quasi fino allo spavento.
Bell’articolo Bargò.
Nostalgia…
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la situazione attuale dei mayhem fa schifo persino a me che non sono neanche un loro fan, pensa te. però sto disco me lo recupero
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