Long live black’n’roll: DESASTER, DESTROYER 666 e WHISKEY RITUAL
I DESASTER, come i Paragon, ispirano tutti i più vieti stereotipi sui gruppi tedeschi medi. Non sono mai stati dei geni ma non hanno mai fatto un disco che non fosse almeno godibile. Non inventano niente ma hanno uno stile grossomodo personale. E dal vivo spaccano, sono quadratissimi (a Roma, per qualche motivo, hanno un certo seguito di culto). Agli esordi erano un po’ più frostbitten, poi, col tempo, si sono intruciditi. The Oath of an Iron Ritual, però, non ha gli eccessi birraioli alla Impaled Nazarene di un Satan’s Soldiers Syndicate. Anzi, i momenti migliori sono proprio quelli più epici e cadenzati. dove l’influenza del black vecchia scuola è più manifesta, come Conquer & contaminate e la title-track. I frangenti più thrashettoni, invece, sono pure quelli più deboli e risaputi. Nulla per cui perdere il sonno, chiaro, però The Oath of an Iron Ritual, a nove mesi dall’uscita, continua a regalare tre quarti d’ora di satanismo al bratwurst da trascorrere in allegria tracannando birre tedesche scrause di importazione reperite al discount all’angolo.
Ad averlo recuperato e assimilato prima, Wildfire sarebbe finito in playlist. Verrebbe quasi da pensare che i Darkthrone siano tornati indietro di tre lustri con Arctic Thunder perché il revivalismo anni ’80 nel black metal stava viene meglio ai DESTROYER 666. L’adorabile Hounds at ya back sembra un pezzo dei Grave Digger anfetaminizzato. C’è il riff da metallo tetesco anni ’80. C’è la voce pulita. E c’è un retrogusto bathoryano che, invece, di tetesco non ha nulla. La notevolissima White Line Fever ha sprazzi quasi wave. Ed è solo parte degli ingredienti di un album variegato e sempre ispiratissimo, tanto nelle bordate da pogo sotto il palco (mi rode essermi perso la data romana del tour) quali Traitor e Die you fucking pig! quanto nei rallentamenti di Hymn to Dyonisius e Tamam Shud, sulla quale cala di nuovo l’ombra dei Bathory. L’inserimento di elementi più melodici era già partito con il precedente Defiance, che era tuttavia il classico album interlocutorio di transizione; l’esimio KK Warslut non aveva ancora capito bene dove parare. Wildfire, al contrario, non fa prigionieri. Non so per quale motivo, c’è una strumentale con un titolo in italiano: Artiglio del Diavolo. Ho fatto una ricerca su Google e pare che sia una pianta molto ricercata dai salutisti..
É del 2015 ma, siccome vogliamo loro molto bene, recuperiamo pure Blow With The Devil dei WHISKEY RITUAL, che abbiamo scoperto con lo splendido split di tributo a GG Allin con i Forgotten Tomb. Questo terzo full dei parmensi forse mi è piaciuto uno zinzino meno di Narconomicon che, oltre ad avere una delle copertine migliori della storia, suonava un po’ più alcolico e dritto. Qua gli arrangiamenti sono studiati meglio, le chitarre sono maggiormente protagoniste, anche se la matrice dei riff rimane norvegese. Forse hanno cambiato qualcosa nel mix di droghe. I miei momenti preferiti rimangono quelli più hardcore, quando sembrano la colonna sonora di una rissa a bottigliate: A.B.I.T.C.H., Mephistopolis, il nuovo inno scapoccione da stadio Nekro Street Gang. C’è una canzone, dal bizzarro ritornello alla Killing Joke, che si intitola Henry Rollins. Purtroppo ho ascoltato ‘sto disco su Spotify e non ho trovato i titoli su internet, quindi non so cosa i Whiskey Ritual abbiano da dire su Henry Rollins. Toccherebbe comprare Blow With The Devil anche solo per scoprirlo. Ho letto, per curiosità, alcune recensioni su siti stranieri. In generale erano positive ma alcune lamentavano la produzione troppo rozza quale maggior limite dell’album. Beh, se su Narconomicon c’era un pezzo che si chiamava Lo-Fi Attitude ci sarà stato un motivo. Perché il grezzume del sound dei Whiskey Ritual è come quello della regia di certi horror di Fulci o Massaccesi. (Ciccio Russo)
Ma com’è che ho trovato questo articolo solo oggi???
Blow with the devil dei Whiskey Ritual mi è piaciuto un sacco.. un po’ meno di In goat we trust, un po’ di più di Narconomicon… Anche io adoro A.B.I.T.C.H., mi ritrovo spesso a cantarla da solo più volte al giorno.. Poi c’è la fantastica Too Drunk for love.. Pensa che io quasi trovavo la registrazione troppo pulita, perché su YouTube sul canale dell’art of propaganda, che è la loro casa discografica, c’è un versione demo di Satanik Kommando più marcia di quella su cd, che è stata un po’ troppo ripulita per i miei gusti e c’ero rimasto male, essendo uno dei pezzi che mi pigliano di più… Comunque grandissimi, li avevo conosciuti proprio grazie ad un tuo articolo e mo’ non ascolto quasi altro da mesi…
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