Metal Skunk Trip: tre dischi che ci ricordano perché amare l’Australia

Qualche anno fa, un amico appassionato di surf è andato per qualche mese in Australia e – al ritorno – mi ha raccontato galvanizzato della sua esperienza nel continente. Quel luogo mi ha sempre affascinato, e penso di avere consumato decine e decine di documentari che lo riguardavano: la sua terra rossa, le ampie zone desertiche e gli animali pericolosi sparsi un po’ ovunque; ma anche tratti costieri da sogno e città moderne, costruite e sviluppate con un certo rigore. Ma noi ci troviamo su Metal Skunk e di tutta questa meraviglia, in questo momento, non ce ne frega veramente un cazzo. Parliamo quindi della scena australiana e delle sue chicche più o meno nascoste.

Mortal Sin – Face Of Despair (1989)

Ho recensito da poco Catharsis dei Machine Head. Qualche giorno fa, al termine di un faticoso tentativo di ascoltarlo, ho mollato, iniziando istantaneamente a pensare a qualche disco thrash da mettere su. Essendo nella mie future intenzioni un inspiegabile articolo su Hobbs’ Angel Of Death e Destroyer 666, ho deciso di infilarci a forza i Mortal Sin in quanto australiani, e perciò mi sono ritrovato a riascoltare Face Of Despair a distanza di, boh, qualcosa come quindici anni? Il suo predecessore si intitola Mayhemic Destruction e probabilmente lo preferisco pure a questo, perché è un vero pugno in faccia. Qui, due anni dopo avevano già affilato le lame e comparivano come una versione più aggressiva e meno stradaiola degli AnthraxFace Of Despair è articolato quanto spereresti da una formazione al suo secondo disco in studio; le chitarre dialogano assai bene e sfornano riff degni delle migliori formazioni californiane. Manca forse un pizzico di carisma, ma vi assicuro che i Mortal Sin sono un nome da non trascurare se siete appassionati della Bay Area e, nel loro caso, delle più degne repliche nate chissà dove oltre il Pacifico. I Am Immortal si conclude come Hetfield avrebbe impostato le liriche di una delle sue fast-track, e l’evoluzione di The Infantry Corps prova quanto in termini di stile a questi australiani non si potesse insegnare proprio nulla. Peccato che i frequenti cambi di line-up e un disco inconsistente come il successivo Every Dog Has Its Day ne abbiano compromesso anzitempo la carriera: arrivati sulla scena con qualche anno di ritardo, ma non così tanti da non permettere loro di lasciare il segno.

Destroyer 666 – Phoenix Rising (2000)

Se dovessi elencare alcuni dei concerti più belli della mia vita, cascherei di frequente dalle parti del Siddharta di Prato in cui – fra la fine dei novanta ed i primissimi anni duemila – vidi due eventi che non dimenticherò mai. I Necrodeath in supporto a Mater Of All Evil, band che ho osservato da vicino almeno sei volte e che MAI ripetè l’energia sprigionata in quella serata, ed i Destroyer 666 nel tour di Phoenix Rising. Sfortunatamente, questi ultimi li conoscevo solo di nome, così decisi di ascoltarli e constatai che un gruppo australiano che ti sbatte davanti a Unchain The Wolves una copertina più norvegese di quelle delle band norvegesi, merita di essere supportato ad ogni costo. L’album mi piaceva eccome, Australian And Antichrist mi mandò completamente in delirio ma è tuttora Phoenix Rising il loro capitolo a cui mi sento più affezionato. Forse un poco rileccato rispetto al predecessore, noioso in brevi tratti ma comunque capace di contenere una perla incredibile come I Am The Wargod, senza trascurare la notevole Lone Wolf Winter e una riedizione più che apprezzabile della celebre The Eternal Glory Of War, appartenente al loro debutto su Modern Invasion. Come in occasione dei Necrodeath il loro concerto fu impressionante, e tornerò a vederli almeno un paio di volte senza percepire lo stesso grado di coinvolgimento da parte di tutti i presenti. Era il loro momento, la formazione era quella perfetta poichè egregiamente completata dal grandissimo Shrapnel (poi nei Razor Of Occam) e già un paio di anni dopo con Cold Steel… For An Iron Age tireranno fuori un qualcosa di realmente palloso. Pare che K.K. Warslut sia di ritorno a febbraio con un EP di inediti: non resta che aspettare e incrociare le dita.

Hobbs’ Angel Of Death – st (1988)

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Il giorno che nella cassetta della posta mi sono ritrovato un pacchetto anonimo dalla Germania, sapevo benissimo che conteneva il debut degli Hobbs’ Angel Of Death del 1988 ed ero emozionato, per davvero. Raramente mi è capitato di ascoltare un album di culto e di trovarci così tanta qualità: il disco era una proposta estrema che mescolava la voce dei Venom ad un thrash vagamente comparabile a quello dei Sodom di fine anni ottanta; insomma, era la perfezione. Inutile stilare la lista delle canzoni perché sono quasi tutte di ottimo livello, per giunta prodotte molto meglio di quanto si potesse immaginare da una copertina che si presentava in quella precisa maniera, ed attribuita a un misconosciuto combo australiano. Non aspettatevi velocità a tutti i costi e brani lineari, gli Hobbs sapevano giocare con le atmosfere orrorifiche e ne è prova un episodio come Marie Antoinette con il suo minutaggio ottimamente gestito. Giunti a termine di quest’esperienza, viene da ripetersi la classica domanda sul gruppo nato nel luogo e nella scena sbagliata, ma tant’è, quest’album esiste e pertanto ci sta bene così. Il loro ritorno avverrà addirittura sette anni dopo, con una formazione del tutto rivoluzionata e un feeling quasi completamente perduto. Così come li ho accidentalmente mancati poco tempo fa, a pochi passi da casa, nel corso di un tour che ha toccato l’Italia, poiché è soltanto del 2016 il loro ultimissimo Heaven Bled. Fidatevi, in pochi nel thrash più estremo e oltranzista hanno fatto così bene come Peter Hobbs trent’anni fa con la sua creatura. Fatelo vostro. (Marco Belardi)

8 commenti

  • Appena ho letto gruppi australiani il mio cervello ha aperto un cassetto chiuso da 20 anni ed è uscito il ricordo dei Pegazus…ed ora la mia giornata fa schifo.

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  • ho avuto la fortuna di vedere il mitologico Peter Hobbs qualche anno fa quando suono’ in una grotta di locale in centro a Cracovia. Fu emozionante vederlo estrarre il gigantesco crocefisso che si portava appresso dall’asta del microfono e iniziare a sputarci sopra. Il tutto mentre nella sala striminzita panzoni con smanicati e toppe degli Exumer pogavano spaccando bicchieri nel mezzo della pista

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  • Io qua ci vivo, e vi garantisco che la scena death e grind e’ pazzesca. Vi consiglio in ordine casuale: Faceless Burial, Mental Cavity, Shitgrinder, Mosquito, Abramelin, Whorethopsy, Colossus, Laceration Mantra, Eternal Rest, Vyrion, Grotesque, Hellbringer, Depravity, The Dead, Golgothan Remains, etc., etc.

    Menzione speciale per:
    a) Dispossed, punk/crust che cantano per i diritti degli Aborigeni (visti aprire per i Neurosis, ed effettivamente sono ottimi e incazzati)
    b) Encircling Sea, che meriterebbero un post a parte.

    Quaggiu’ non abbiamo solo mare, deserto e patata, ma anche tanto marcio.

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  • Ho i vinili dei Mortal e di Hobbs presi all’epoca della loro uscita, al tempo li ascoltai un bel po’. Dopo quest’articolo, andrò a cercarli in garage, mi è venuta voglia di risentirli

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  • Pingback: Corsi di yoga e NECRODEATH @Circus, Scandicci (FI) 13.04.2018 | Metal Skunk

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