DESTROYER 666 – Call Of The Wild
Ho iniziato ad accorgermi del calo della band australiana quando uscì Cold Steel… For an Iron Age. In realtà niente era stato spontaneo e grintoso quanto i loro primi due dischi, e già nel mio prediletto – Phoenix Rising – si iniziava a scorgere qualche brano indiscutibilmente noioso.
Insomma, per farla breve l’intensa storia dei Destroyer 666 è finita come temevo: un album ogni sei o sette anni, fra cui lo sterile Defiance e quel Wildfire di un paio di annetti fa, che ha sì recuperato un po’ di spirito e puntato tutto su massicce dosi di speed metal (e nel caso di pezzi come Deathblow, si è fatto direttamente ricorso all’ingrediente vincente, i Motorhead), ma senza riuscire a farmi gridare al miracolo. Erano diventati una band maledettamente ordinaria, e fino al duemila li avevo considerati una delle cose più fiche che l’underground mi avesse mai consegnato.
Stavolta, sperare che qualcosa sia cambiato in meglio è una sensazione che muore in partenza, perché quando inizia Violence is Golden ti accorgi che in questo nuovo EP, l’unica novità è che il gruppo di K.K. Warslut non è poi così invecchiato rispetto alla release precedente. Siamo allo stesso punto di due anni fa: attitudine fortemente ottantiana, cori, ritmo sebbene ad una velocità moderata. È il pezzo a funzionare bene, e lo fa meglio di qualunque brano inciso negli ultimi tempi. Con Stone By Stone la band accelera e cita sé stessa, oltre a certe cose dei primissimi Destruction – sembra di essere dalle parti di brani come Death Trap, per intenderci. Promossa pure questa, peraltro nettamente più oscura e sentita della precedente. Ignorante e diretta pure la title-track, ma è col rifacimento di Trialed By Fire (miracoloso brano di Terror Abraxas) che si torna a respirare l’aria dei tempi che furono a suon di cori alla Bathory ed epicità straripante. Vizio, quello di riproporre vecchi brani in una nuova veste, che tempo addietro già misero in atto con il classico The Eternal Glory Of War.
In conclusione, i Destroyer 666 dimostrano di avere perso per strada molta della pesantezza degli esordi. Nonostante questo, la musica che suonano è in linea di massima la stessa di quindici anni fa ma è semplicemente stata arricchita di elementi diversi, e che pescano a ritroso nel tempo piuttosto che dal metal estremo degli anni novanta. Un po’ il percorso libero e strafottente intrapreso dai Darkthrone dopo Sardonic Wrath, ma senza snaturarsi completamente e senza eccedere nel goliardico. Ora godiamoci questo EP, ma a patto che non spariscano per più di un lustro. (Marco Belardi)