WHISKEY RITUAL – Narconomicon (Lo-Fi Creatures)
Come è ben noto a tutti i cristiani devoti che ci leggono, lo split di tributo a GG Allin a cura di Forgotten Tomb e Whiskey Ritual è il disco più bello e importante uscito in Italia dai tempi di Giuseppe Verdi per millemila motivi, tre dei quali particolarmente salienti. Uno, GG Allin era un gran figo, nonché la nostra guida spirituale di riferimento insieme a Nicolas Cage e Walter Veltroni, e se non siete d’accordo porto il cane di Luciano a cacarvi sul pianerottolo, tanto poi pulisce Veltroni. Due, ci sono i Forgotten Tomb, che da quando esiste il blog hanno pubblicato due dischi e un ep ma noi, facendo largo uso di sostanze psicotrope per allargare i nostri orizzonti spirituali, non gliene abbiamo recensito manco uno, e qua ci terremmo a chiarire che non è che ce l’abbiamo con loro, anzi, a me e a Charles piacciono pure parecchio e ci fa specie che questanno c’è stato una grande morìa delle vacche come voi ben sapete. Tre, ho avuto modo di scoprire quei gentiluomini d’alta classe dei Whiskey Ritual.
Vengono da Parma, ridente cittadina nota soprattutto perché ha dato i natali ad Alberto Bevilacqua (che stimiamo perché sta con la tipa che interpretava la maestra in Pierino contro tutti e mo’ ci spiace che stia male, anche se non leggeremmo un suo libro manco sotto minaccia armata) e perché ci ha vissuto per anni il Tartaruga, che è una delle figure che più ammiro al mondo insieme a Jon Schaffer, Roberto Pinotti, i fratelli Leone e il cane di Luciano, che gli manca solo la parola e quella parola è sicuramente una bestemmia. E di bestemmie era pregno In Goat We Trust, esordio targato 2010, del quale mi innamorai già dal titolo e dalla copertina. Black’n’roll buzzurro al retrogusto di capra morta e vomito stantio, talmente trucido e puzzone che in confronto gli Aura Noir erano gli Arcturus (e proprio quell’azzimato gentleman di Apollyon era ospite in un brano, One Million). Temevo che non avrebbero più fatto un cazzo a causa di un coma etilico collettivo o di una retata dell’antidroga. Invece, qualche mese fa, ecco che ti esce Narconomicon. E anche qua uno ne parlerebbe bene a prescindere già dal titolo e dalla copertina, pure se l’album risultasse poi composto solo da registrazioni di scoregge suine frammiste a conferenze di Alberto Bevilacqua.
Narconomicon è la colonna sonora perfetta per quei momenti di degrado assoluto evocati dall’emblematico artwork (già da solo la migliore recensione possibile), nei quali la nicotina ti ha incatramato i bronchi a un punto tale da renderti difficile la respirazione, il goccio di troppo e già stato superato dieci bicchieri fa e la persona che ti stai portando a casa continua a essere quella sbagliata anche alla luce di tutte gli stupefacenti che ti sei calato in corpo nel frattempo. Quell’eccesso che non è scelta ma destino ineluttabile. Negli attimi sublimi nei quali la consapevolezza di aver oltrepassato in limite non ti impedisce di andare avanti e farti ancora più male, i Whiskey Ritual sono vicino a te, a pagarti un altro giro per poi sghignazzare quando alla fine collasserai pisciandoti addosso prima ancora di riuscire a raggiungere il bagno. Rispetto al disco precedente, la componente black tende a prevalere su quella roll e i tempi sono un po’ meno sostenuti. I riff di Bootleg in a Bootleg e The Forsaken Kings hanno una vena melodica più marcata, in linea con le ultime produzioni dei Darkthrone, che, insieme ai Carpathian Forest, restano l’influenza più pesante (se mi avessero presentato White Darling come un inedito dell’act di Oslo ci avrei creduto pure), e, in generale, si respira molta Norvegia; nei suoni, nelle chitarre, nella disperazione latente. Ma non si può certo prendersela con i Whiskey Ritual perché sono derivativi. Anzi, credo che definirli i figlioletti ducali di Fenriz e Nattefrost sia il miglior complimento che si possa far loro. Perché qua, signora mia, ciò che conta sul serio non è la musica ma l’ATTITUDINE, quell’attitudine lercia, ubriacona e strafottente sussunta nella sacra triade alcol-puttane-satana a noi tanto cara. Forse preferivo In Goat We Trust ma, si sa, il secondo disco è sempre il più difficile. Lo dice pure Alberto Bevilacqua. Almeno credo.
la mia connessione non è un granché e quindi quando apro metal skunk all’inizio mi escono solo il titolo,le tag e la firma.come ho letto il titolo,le tag e la firma(appunto) di ciccio ho subito capito che si parlava di cose che ti migliorano la vita.metal skunk io ti amo
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Perdindirindina il primo disco lo avevo adorato, mi ero segnato pure la data di uscita di questo, ma nel frattempo me ne sono dimenticato. Qua bisogna rimediare.
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Con 3 anni di ritardo dall’uscita dell’articolo, dico che 2 mesi fa ho iniziato ad ascoltarli. Era dai tempi dei Pantera, la prima volta da ragazzino, che qualcosa non mi prendeva così. Anch’io ho preferito in Goat we trust, ma anche qui e nell’ultimo ottimo Blow with the devil, c’è un sacco di super pezzi. Vorrei dire qualcosa di più, ma mi vengono solo volgarità e bestemmie. Immensi.
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