SIX FEET UNDER – Unborn (Metal Blade)

Six-Feet-Under-UnbornNon dovrebbe essere difficile recensire un disco dei Six Feet Under, no? In fondo sono vent’anni che la band di Chris Barnes produce lo stesso amalgama di death metal classicissimo e canonico fuori misura (a volte con risultati gradevoli, altre meno). Quindi lo spirito con cui mi sono avvicinato a questo Unborn era quello dello studente del liceo che dice “ma sì vabbè, facciamo ‘sto temino che c’ho da giocare a FIFA” salvo trovarmi poi in una situazione ben più incasinata del tipo “sticazzi, non s’era mai parlato dell’influenza di Pavese sul cinema impressionista post-novecentesco”. Ok, forse il paragone non regge poi tanto, ma è per darvi l’idea che Unborn è diverso da qualunque cosa i Six Feet Under abbiano mai prodotto.

Partiamo dal fatto che questo lavoro esce a solo un anno di distanza dal predecessore Undead, e a quanto ho capito ne raccoglie alcuni scarti. Più che di una raccolta di b-sides però, Unborn si rivela essere un disco ben definito con una sua identità precisa. I numerosi cambi di line-up verificatisi negli ultimi anni hanno giovato alla grande alla band, in particolare il passaggio dietro le pelli di Kevin Talley, tentacolato batterista noto per aver già militato in band come Dying Fetus, Misery Index e Decrepit Birth (tanto per citarne alcune) ha portato con sè una ventata di rinnovamento che manco Caterina II di Russia. Il songwriting si è evoluto, diventando più complesso, articolato, in sostanza maturo. Proprio il concetto di maturità è il più ricorrente nell’ascolto di Unborn, anche se mai avrei pensato di vedere una band con una carriera ormai ventennale crescere in questo modo da un disco all’altro. Lo stesso Barnes pare aver capito come sfruttare al meglio il suo classico timbro, lasciando quasi totalmente in disparte quei gridolini da suocera stressata perché il genero le ha rotto una tazza del servizio buono. Unborn è in sostanza un lavoro meritevolissimo, capace di attirare l’attenzione anche di coloro che fino ad oggi hanno snobbato i Six Feet Under in quanto ritenuti troppo banali. Attenzione però, non stiamo parlando di un’innovazione in senso totale: di dischi come questo ne escono a palate ultimamente, tuttavia è innegabile che per una band come questa sia un bel passo avanti. Un progresso notevole che spero continui su questa scia dato che, se fino ad oggi i Six Feet Under li vedevo solamente come dei dignitosi operai del death metal, con questo Unborn c’è decisamente aria di promozione. (Luca Bonetta)

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