La morte accarezza a Monfalcone: KRYPTONOMICON – Infernalia

Portae Inferi riprende da dove si era fermato Timor Mortis Morte Pejor neanche un paio d’anni fa, e cioè l’Orrore totale. Da qui le fondamenta dell’album dei Kryptonomicon che, un po’ per caso, mi era capitato per le mani sul finire del 2021.

È invece sul finire del 2022 che, complice un periodo a dir poco impegnativo, mi sono perso Infernalia, il ritorno discografico di questi thrasher minimalisti di Monfalcone su Punishment 18 (dategli un occhio, stanno pure ristampando un sacco di roba interessante).

Fortunatamente la ricetta non è cambiata molto rispetto a Nekromantikos: i Celtic Frost stanno dappertutto, ancor più dappertutto, finendo per relegare in disparte (per importanza, non di certo per bilanciamento) parte di quel vago sentore dei Possessed che già allora percepii nelle parti più veloci del disco. È quindi fisiologico che Infernalia ci restituisca le migliori sensazioni proprio grazie ai tempi lenti e medi: La Irà de Dios è un treno in corsa nonché uno degli episodi che mi sono goduto di meno, specie se messa di fila a I.N.R.I. e Kiss in Gethsemane. Il suono si è fatto leggermente più secco e snello, con un rullante meno cupo e un approccio tutto sommato paragonabile a quello dei Violentor di Putrid Stench. Un suono accettabilissimo, dunque, oltre che lontano dalle compressioni, dai campionamenti e dal generalizzato vilipendio che le band inscenano in studio di registrazione oggigiorno.

Un buon disco anche questo, anche se ho l’impressione che i Kryptonomicon girino al massimo solo quando sostano nei paraggi dei Celtic Frost: passata la velocissima La Dame du Christ rallentano con Innocence and Death e con The Garden of Delights e le cose subito funzionano meglio. La sensazione che ho nei loro riguardi è che dovranno accentuare questa componente orrorifica o, se vogliamo, addirittura teatrale (altamente presente in Garden of Delights e nell’introduzione), per non apparire dipendenti in tutto e per tutto da Tom Warrior come accaduto agli Usurper dell’Illinois (quelli di Cryptobeast, per intenderci). I Kryptonomicon hanno nell’arsenale questa capacità di suonare un heavy metal orrorifico che mi rimanda alla lontana agli Abysmal Grief, il tutto travasato nel protometal estremo degli anni Ottanta: questa componente è il loro asso di briscola e va sfruttata a dovere. The Path of Lust in chiusura è di gran lunga il miglior brano ad alti ottani, mentre il trattamento riservato a David Bowie con Let’s Dance certamente non eguaglia l’ottima cover dei Bauhaus di un annetto fa. Suonare una musica così estrema e minimale, rozza, primordiale, senza mai annoiare, variando tre o quattro prototipi di brano nell’arco di un disco e non variando la sola velocità, è una peculiarità. Ora occorrerà comprendere quale prototipo portare avanti e cosa altro scremare.

Non un passo in avanti rispetto a Nekromantikos ma una piacevole riconferma. I Kryptonomicon sono tornati, Paolo Girardi dietro alle quinte è tornato (e ne vadano orgogliosi, perché è il migliore): lunga vita a tutti loro. (Marco Belardi)

 

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