WORMROT @Klub Gwarek, Cracovia 20.02.2023

Lunedì sarebbe il giorno peggiore per un evento del genere, ma noi guerrieri del metallo e del cattivo gusto ce ne fottiamo altamente e rispondiamo come sempre “PRESENTE!”. Stasera ci sono i Wormrot direttamente da Singapore e la curiosità è tanta, visto che il loro Hiss sta riscuotendo consensi tra gli addetti ai lavori un po’ ovunque, e a buon merito.

Il duo, che prima era un trio e che ha dovuto fare fronte al recente abbandono dell’urlatore Arif, si ritrova ora solo composto da Rasyid (chitarra) e Vijesh (batteria). Niente basso, almeno dal vivo. A microfono c’è Gabriel Dubko dei tedeschi Implore, che urla anche lui come una bestia assatanata. La differenza con Arif non è poi tantissima.

La location è un minuscolo club per studenti della prestigiosa università scientifica AGH, il cui campus è non poco distante. Perfetta. Quando arrivo, già da un isolato si sentono i grugniti del cantante dei Death Crusade, banda locale dedita ad un grind/hardcore che trae principale influenza dai mostri sacri Repulsion. Zero sfoggio di tecnica, tempi serrati ma non inumani e repertorio abbastanza standard. Sarebbero il sottofondo giusto per ambientarsi all’interno del piccolo locale che, cosa che mi fa incazzare, sembra ancora più piccolo grazie a certi idioti che non vogliono saperne di avvicinarsi al palco, lasciando così un spazio grande come circa metà sala per eventuali pogatori – che però non ci sono. Il risultato è che siamo tutti schiacciati in fondo, rendendo ardua una operazione cruciale come l’avvicinamento al bar.

I sucessori in scaletta, gli Straight Hate di Lublino, sono davvero professionali nell’approccio, con suoni curati e in tipico stile Tomas Skogsberg e Sunlight Studios di un tempo. Un marchio di fabbrica che fece epoca almeno quanto i vari ingegneri dei Morrisound. Letali, furiosi e navigati (si sente e si vede), saranno forse proprio loro, almeno dal punto di vista formale, il top della serata. Quello che gli manca è però la schizofrenia pura che caratterizza gli headliner. Gli Straight Hate fanno parlare il loro death/grind di scuola svedese, e qualcosa inizia a muoversi anche davanti al palco, dove lo spazio è finalmente occupato in maniera legittima.

I Wormrot invece si presentano con una formazione “rattoppata”, con Gabriel Dubko alle urla infernali. Hiss è un disco che fa di dissonanze, improvvise sfuriate violentissime, imprevedibilità e strumenti non ortodossi la sua forza. Ora, avendo questo tutta l’apparenza di un tour molto turista-fai-da-te-no-Alpitour-ahi-ahi-ahi, mi rendo conto dell’impossibilità di riprodurre fedelmente quanto fatto in studio, ma la situazione non sminuisce granché la freschezza e la furia genuina di quella belva del batterista e del simpaticissimo Rasyid, la cui Flying V si ritrova senza Mi basso a metà esibizione, costringendo tutti ad un intervallo non voluto. Questo a dimostrazione che i Nostri sono un po’ in balia del destino, visto che non dico avere 60 chitarre a bordopalco come Neal Schon, ma almeno un ricambio accordato per situazioni come questa…

Il pubblico risponde eccome. C’è pure un tizio con i capelli lunghi fino a terra che si scatena in mezzo al vortice, e visto che si guarda sempre attorno per vedere se qualcuno lo nota e lo invidia per la folta chioma, che si tocca di continuo (perdonate l’invidia di un pelatone ex-capellone), mi viene da pensare che questa è la situazione-tipo in cui qualcuno potrebbe fargli accidentalmente lo scalpo. La cosa impressionante però è quanto effettivamente la gente non sia venuta solo per curiosare ma ammiri realmente la banda asiatica, perché quando i nostri eseguono When Talking Fails, It’s Time for Violence, tutti o quasi si fermano per gridarne il battagliero ritornello in puro stile NYHC.

La grande serata di mazzate finisce così come era iniziata: con le band stesse che smontano i loro equipaggiamenti in fretta e furia e si preparano ad affrontare la strada ancora una volta. Tra pochissimi giorni mi  farò una trasferta a Berlino con altri tizi di Metal Skunk per andare a vedere i Manowar. Due pianeti diversi ma facce della stessa medaglia, su cui c’è inciso che “la gente davvero non sa cosa si perde”… (Piero Tola)

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