KAMPFAR – Til Klovers Takt

Quando si parla dei Kampfar odierni bisogna sempre fare un doveroso distinguo tra chi li segue dagli inizi della carriera e chi li ha scoperti con gli ultimi dischi, in quanto non esagero col dire che trattasi proprio di due entità differenti. Continuo a ribadire che l’arma vincente dei Kampfar fosse il suono di chitarra di chiarissima estrazione folk del vecchio chitarrista Thomas Andreassen, che, unito alla classiche partiture northern black metal di Dolk, davano vita ad un connubio perfetto capace di generare capolavori come l’immenso mini omonimo del ’96 e i due successivi Lp Mellom Skogledde Aaser e Fra Underverdenen. Dopodiché vari casini con case discografiche e promoter (fino al 2004 la band non si era mai esibita dal vivo) portarono Dolk alla dolorosa decisione di ibernare il progetto per 7 anni. Il ritorno sulle scene sul finire degli anni 2000 fu segnato da un paio di lavori che continuo a ritenere validi, nonostante la magia di un tempo si fosse irrimediabilmente persa.

Il problema (se così lo vogliamo chiamare) si è verificato dopo la sostituzione del chitarrista sopracitato con Ole Hartvigsen. Quest’ultimo, come ha confermato lo stesso Dolk, è stato un fattore decisivo nella netta sterzata del suono della band: produzioni molto più curate, rimandi al pagan/viking vecchia scuola ridotti all’osso e una serie di lavori che non sono mai riuscito realmente a digerire, compreso questo ultimo Til Klovers Takt, uscito l’11 novembre scorso ma anticipato da ben cinque singoli, in linea con l’insopportabile usanza delle case discografiche da un po’ di tempo a questa parte: considerando che i brani solo sei (e già su questo ci sarebbe da discutere), praticamente l’unico inedito è la conclusiva Dodens Aperitiff. A differenza di quanto leggo da molte parti, tutta questa diversità tra quest’ultimo lavoro e i precedenti dei nuovi Kampfar sinceramente non l’ho sentita: si parla sempre di un black metal moderno, inappuntabile dal punto vista della forma e dell’impatto, prodotto eccessivamente bene per i miei gusti e suonato alla grande, ma con una serie di brani troppo lunghi (e con tutte quelle parti recitate di Dolk che cominciano a diventare veramente fastidiosissime) che, anche dopo numerosi ascolti, fanno fatica a rimanerti realmente in testa, a parte l’iniziale Lausdans Under Stjernene, l’unica che non a caso che ricorda qualcosa dei vecchi Kampfar.

Intendiamoci, parliamo sempre di gente navigata che sta nel giro da trent’anni suonati, perfettamente capace di sfornare un disco black metal come si deve che, ne sono sicuro, piacerà tantissimo alle nuove generazioni di blackster. Io però, che sono un boomer nostalgico (e – aggiungo – forse neanche la persona più adatta per parlare di un loro nuovo disco) mi tengo stretto i Kampfar degli anni ’90. Chi non è d’accordo con me non ha che l’imbarazzo della scelta se vuole leggere lodi sperticate di questo Til Klovers Takt. (Michele Romani)

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