Doom politics: come resistere ad afa estiva e ribaltoni parlamentari

Epidemia, carestia, siccità, guerra. Afa. Ed i nostri politici dimostrano ancora una volta di aver perso contatto con la base dell’elettorato e con gli ideali storici. Persino nei nomi dei loro movimenti effimeri. “Insieme per il futuro“: ma se noi abbiamo sempre invocato l’Apocalisse! “Rinascimento“: eppure noi abbiamo sempre preferito i secoli bui, non è un mistero. “Italia Viva“: e i non morti chi li rappresenta? E ricordate pure “Fare per fermare il declino“? Noi il declino lo abbiamo sempre caldeggiato e preferito al progresso… Insomma, amici del Vero Metallo, questa è l’Italia e questa è la politica, con la “p” minuscola. Ma noi non ci stiamo. Vogliamo finalmente che ci rappresenti qualcuno di degno, qualcuno che porti i nostri Valori ad essere difesi nelle politiche di scala nazionale.

Ecco arrivare in nostro soccorso i FRIENDS OF HELL. Gli “Amici dell’Inferno”. Con un nome così noi di Metal Skunk aderiamo convinti al loro programma, che non può mica essere da meno del nome scelto, e portiamo in dote i nostri 24 voti e rotti, sicuri che quando saremo al governo verranno ristabilire le priorità del e per il Popolo. Che sono porno monache che si fanno i selfie allo specchio, croci rovesciate, horror di serie B tipo Alucarda, doom sgraziato, sepolcrale e putrescente. Amici dell’Inferno. E chi non lo è? Friends of Hell (repetita iuvant) è quindi l’esordio del quartetto, i cui curricula sono degni di un rimpasto da prima repubblica. L’iniziativa è del cipriota Tasos Danazoglou, qui alla batteria, che qualcuno ricorderà, tatuatissimo, per breve tempo al basso negli Electric Wizard, anche nel corso della calata romana dello Stoner Hands of Doom di qualche eone fa al Jailbreak. Poi Taneli Jarva, finnico, già in Sentenced ed Impaled Nazarene. Alla voce il connazionale Albert Witchfinder dei Reverend Bizarre, e così le coordinate sono belle chiare, che siamo proprio nei territori della leggenda doom finlandese. Alla chitarra un carneade greco e noi ogni volta che c’è un greco in formazione siamo sempre contenti. Che ve lo dico a fare: viste le premesse il disco non poteva che essere una certezza. Colonna sonora ideale per chi questa estate cercherà refrigerio in catacombe e cimiteri abbandonati. Tutto stramegaclassico e come da copione grandguignolesco. Ma occhio alla conclusiva Wallachia, che si candida già per essere la hit di questa estate.

Con grandissima onestà nei confronti dei loro elettori, poi, gli austriaci DEUMUS intitolano Doom la traccia di apertura del loro esordio Oyer and Terminer. Il movimento dei nostri si fa promotore del ritorno alle atmosfere proto-black dell’Est Europa. Insomma, un po’ alla Master’s Hammer di una volta e quindi, per estensione, Malokarpatan di oggi. Ma in chiave doom. E la cosa funziona, come attitudine. Le canzoni in realtà vanno un po’ in secondo piano. O meglio: l’inizio funziona proprio bene, anche in Die With Me, l’entusiasmo c’è. In mezzo al mandato poi in realtà le emozioni vengono un po’ a mancare, ma quando si arriva al finale si torna in piena campagna elettorale: la teatralità gotica del brano che dà nome all’album e la chiusura, con la disperata Ritual Goat, potrebbero garantire loro il superamento dello sbarramento al proporzionale.

In politica il tempismo è tutto. Così misure popolari durante certi autunni caldi lasciano poi freddi gli elettori se applicate a ridosso delle ferie estive al Papeete. Così “gli” ORNAMENTOS DEL MIEDO l’anno scorso ci avevano moderatamente entusiasmato con Ecos, uscito (o per lo meno ascoltato) col farsi sempre più rigido dell’autunno e delle misure restrittive di salute pubblica. Ora fa ben caldo per l’atmosferic funeral doom. E il refrigerio dell’aria condizionata dell’ufficio si presta meno del vento che fa volteggiare le foglie caduche. Però Yo, No Soy Yo non è affatto un disco da trascurare. Anzi, ci vogliono anche coerenza e certezze per l’elettorato. Abbondantemente sopra i sessanta minuti, è un altro viaggio estenuante nello sconforto cosmico dell’autore. Ancora synth evocativi, riff lentissimi e growl. A me manca forse solo l’effetto sorpresa (la mia) rispetto ad Ecos. Che in fondo però forse aveva dei picchi più elevati. Oppure sono io che sono più distratto dai battibecchi parlamentari. Comunque ormai una garanzia. Però reggere un’ora a questi ritmi non è sempre agevole. Un po’ come era arduo rimanere concentrati una volta durante gli interventi di Marco Pannella su Radio Radicale.

Dalla Croazia ecco allora la dolente denuncia anticlericale degli ELUSIVE GOD. Trapped in a Future Unknown è il ritorno al doom classico, alla tradizione, come reazione a certi chiari di luna che il futuro prossimo prospetta. La musica è in effetti una sorta di grado zero del genere, tempi medi, melodia cupa, riffoni. La produzione è moderna (piaccia o no) ma non sgradevolmente plasticosa. Mai troppo gotica la musica proposta, mai dura da essere quasi trash/black/death, anche l’epica heavy è abbastanza trattenuta. Insomma, una perfetta formazione di centro. Le canzoni buone ci sono: Shadow/Beast/Devil e Deception and Greed sono da scapoccio (moderato, che non siamo estremisti o populisti), con buone chitarre e bei cori. A proposito, nella prima delle due i mid-tempo dei tanto bistrattati ultimi Maiden ci si sentono abbastanza. Anzi, il ritornello Dickinson lo canterebbe tale e quale. Dai, niente male, tutto al posto giusto, per impegno, dedizione e risultati. Qualità da maggioranza silenziosa. Solo che il risultato sta ai Candlemass un po’ come la DC di Rotondi sta a quella di De Gasperi o Andreotti. Per elettori fedeli.

In questa nostra carrellata non poteva certo mancare la rappresentanza del massimalismo extraparlamentare tipico di certe frange politiche. When the World Dies è il primo disco dei COME TO GRIEF, band doom/sludge del Massachusetts. Produzione di Kurt Ballou (a Salem). Copertina di Paolo Girardi (solito capolavoro). Il chitarrista della band si chiama Terry Savastano, per cui vedete un po’ voi se è il caso di deridere il loro elettorato da zero-virgola. Ammetto che certa dottrina sludge mi affascina più della sua messa in pratica non mondo reale, ma rispetto ai da me bistrattati Thou, presi in solitaria, qui me la godo di più, quasi da garantire appoggio esterno. Pur non rimanendo nella memoria un pezzo o un singolo riff particolarmente convincente, il disco scivola via cone lava incandescente e devasta il giusto. La totale mancanza di controllo e l’abisso totale degli EyeHateGod forse li raggiungi solo con reali dinamiche autodistruttive, ma titoli come Death can’t Come Soon Enough o Our End Begins costituiscono altrettanti capitoli di un programma politico che vi invito a considerare quando non sapete a quale voce dell’agone dare ascolto.

Noi ci risentiamo prestissimo per una carrellata di doom dal tocco vintage. Intanto, ricordate tutti: nel segreto della cabina elettorale, Putin non vi vede. Satana sì. (Lorenzo Centini)

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