Avere vent’anni: agosto 2001

DIABOLICUM – The Dark Blood Rising

Michele Romani: Non so per quale motivo preciso, ma ai tempi avevo un po’ snobbato questa seconda uscita dei Diabolicum pubblicata dalla Code666, label nostrana che fece parlare parecchio di sé soprattutto agli inizi del nuovo millennio, specializzata in particolar modo in pubblicazioni black e avantgarde piuttosto fuori dagli schemi per quel periodo. E fuori dagli schemi erano senza dubbio anche i Diabolicum, con il loro industrial black metal apocalittico e oltranzista, di cui questo The Dark Blood Rising è il secondo full dopo l’esordio del 1999. Risentendo il disco in questione dopo tantissimo tempo devo ammettere di non avergli prestato la giusta attenzione, anche perché ai tempi il black metal stava ancora cercando nuove strade e soluzioni sonore, e le uscite di questo genere si perdevano nel marasma generale. C’è da specificare che, rispetto ad altri nomi noti ai tempi come Aborym e Mysticum, i Diabolicum forse sono quelli più legati a sonorità al limite del war black metal, sebbene coadiuvato da sintetizzatori, campionamenti, batteria elettronica (che in realtà in questo lavoro è alternata a quella umana) e tutti gli elementi tipici del genere. Non mancano anche momenti tastieristici un po’ malinconici di grandissimo effetto (come nella title track), così come quelle melodie tipiche svedesi di metà anni Novanta che spesso emergono dalla varie tracce. Nulla da far gridare al miracolo per carità, ma un disco certamente da riscoprire.

UNPURE – Trinity in Black

Griffar: Gli Unpure sono uno dei più datati progetti di black svedese, mai effettivamente sciolti ma inoperosi dal 2004 quindi, con buone probabilità, messi in ghiaccio per sempre. Sono sempre stati uno di quei gruppi di seconda fascia che si conquistano un pubblico di fedelissimi grazie a rozzezza, brutalità, minimalismo compositivo e totale rinuncia a qualsiasi arrangiamento che possa rendere i brani un po’ meno caotici. Quei gruppi i cui dischi mettevi alle feste ad alto tenore alcolico quando si era già tutti belli pieni e si voleva cominciare a far volare le sedie. Attivi fin dal 1991, dopo la classica gavetta di demotape registrano per Napalm i primi due full lenght, venendo presentati come la risposta svedese agli Ildjarn, di cui sono praticamente la copia carbone. Pensate cosa faceva uscire la Napalm 25 anni fa e pensate cosa fa uscire adesso. Dopo cinque anni gli Unpure escono per Drakkar recs. con il terzo album, questo Trinity in Black, il loro lavoro migliore di sempre, in cui smettono di fare il verso agli Ildjarn per diventare l’alter ego svedese degli Aura Noir, con le coordinate spostate sul thrash europeo anni ’80: Hellhammer, primi Celtic Frost, primi Kreator/Sodom/Destruction, il tutto mischiato con una spruzzata appena percettibile di Bathory dei primi tre dischi, frullato, lievemente velocizzato e guarnito da vocals impostate su uno screaming meno alto del canonico stridio spaccaorecchi. Il disco contiene undici pezzi di gustoso thrash metal “blackizzato”, sostanzialmente tutti di pari livello; il disco successivo World Collapse è già meno ispirato e più monotono, quindi se volete approcciare gli Unpure vi conviene ascoltare Trinity in Black. Quella di essere sempre stati la copia di qualcun altro li ha di sicuro penalizzati, giacché sono spariti nel nulla diciassette anni fa. Oggigiorno una base di fan devota ma ridotta non consente più la sopravvivenza della band, a meno che questa non si produca qualcosa per i fatti suoi in formato digitale, ma dopo 17 anni credo l’avrebbero già fatto, visto anche il revival thrash in questi tempi recenti.

KRISIUN – Ageless Venomous

Marco Belardi: Dal buon Southern Storm in poi i Krisiun hanno portato avanti un processo evolutivo che è sfociato nella loro miglior produzione dai tempi d’oro, Scourge of the Enthroned. Scendendo in dettaglio abbiamo, uno in fila all’altro, due album di cui uno eccessivamente sperimentale e scarsamente a fuoco, Forged in Fury, e poi Scourge of the Enthroned. Ma cosa erano di preciso i tempi d’oro dei Krisiun? Personalmente li rammento più per Conquerors of Armageddon che per altro, e debbo ammettere che di quest’ultimo, loro classico per eccellenza, ricordo a menadito la sola title track. I Krisiun sono una colossale rottura di palle e in vecchiaia stanno mettendo a posto alcuni casini che i tre brasiliani erano convinti fossero le principali peculiarità di cui vantarsi. Un anno dopo Conquerors of Armageddon Century Media lanciò con un tono pubblicitario che sapeva di palle al vento il loro quarto album, che suonava di merda, era un blast beat da cima a fondo, e non aveva neanche una canzone da ricordare. Ricorderò, però, e lo ricorderò molto bene, che il periodo d’oro dei Krisiun fu una questione tutta mediatica, giacché stampa e comunicati stampa facevano il loro nome come rifacendosi a un qualcosa d’essenziale e che avrebbe sanato le fresche ferite che attanagliavano il death metal che fu. I Krisiun non combinarono un bel cazzo, anzi, fra qui e AssassiNation misero in fila quattro dischi uno più noioso e ripetitivo del precedente. È come se questa band nel periodo di massima creatività e prolificità abbia rinunciato a tutto, accorgendosi solo quindici anni più tardi di essere perfettamente in grado di comporre canzoni accettabili, oltre a combinare un chiasso della madonna per mandare in sistematico logorìo le casse di ogni autoradio in possesso dei metallari. Non credo che riascolterò mai Ageless Venomous – a proposito, buon compleanno, sono già venti ma a settembre 2001 già non ne ricordavo niente – né ogni altra loro produzione di quegli anni, eccetto, forse, il discreto Black Force Domain con cui debuttarono, l’unico con una personalità e un piglio tali da volerci ritornare in qualche modo sopra.

ARALLU – At War Against God

Griffar: Molto meno noti dei loro conterranei Melechesh, gli Arallu sono stati tra i primi in Israele a suonare black metal. I loro primi lavori li conoscono in pochi, questo At War Against God è un raro EP collocato tra il debutto The war on the Wailing Wall del 1999 e il secondo Satanic War in Jerusalem del 2002. Riprende pari pari il suono di questi due dischi, un assalto frontale unico senza nessuna concessione né pausa. Erano i tempi in cui, se non si trovava un batterista decente, si usava tranquillamente la drum machine, tanto che ci furono gruppi che arrivarono a preferirla per suonare a velocità siderali accrescendo di molto l’impatto dei pezzi, a costo di risultare confusionari. Così questi due ragazzi israeliani si entusiasmarono per il black metal scandinavo e ne vollero suonare una loro versione, ultrasatanica e blasfema ai massimi livelli; io comunque mi sono sempre domandato cosa mai gliene fregasse a due israeliani di vituperare concetti essenzialmente propri del cristianesimo e di nient’altro. Niente in contrario che l’abbiano fatto, sia chiaro. Rozzi, bestiali, distruttivi come gruppi tipo Maniac Butcher o Baltak, almeno per i primi tre dischi gli Arallu hanno deliziato i timpani di chi cerca nella musica solo violenza, violenza e ancora violenza. Armonie ce ne sono pochissime, l’unico intento è quello di radere al suolo tutto ciò che gli si para innanzi. At War Against God non si discosta affatto da questa impostazione, in 23 minuti suddivisi in 5 pezzi + outro riesce a far venire il mal di testa anche all’ascoltatore di raw black metal più consumato. Successivamente, a partire dal terzo album in poi (The Demon from the Ancient World, 2005) gli Arallu iniziarono ad inserire nelle partiture influenze di folk mediorientale, cercando di mitigare la loro furia ed avvicinandosi maggiormente allo stile dei più fortunati – commercialmente parlando – Melechesh, rinnegando così in gran parte la loro furia cieca, abbandonando la drum machine ed insomma diventando qualcosa di radicalmente diverso dalla violenza simile a quella di una tempesta di sabbia dei loro dischi più datati.

MYSTIC PROPHECY – Vengeance

Barg: Abbiamo più volte parlato dei Mystic Prophecy come di una macchina da guerra il cui unico vero difetto è l’essere troppo perfetta per essere vera, con tutte le implicazioni positive e negative del caso. È quindi interessante ora occuparci del debutto Vengeance, perché i meccanismi all’epoca non erano ancora del tutto oliati e un po’ di ingenuità appare qua e là come è del resto normale che sia per un primo album. Nella formazione attuale c’è rimasto il solo cantante Roberto Liapakis, unico membro sopravvissuto a vent’anni di cambi di formazione; qui c’era ancora Gus G, peraltro, l’uomo che a un certo punto sembrava dovesse cambiare l’intero mondo della chitarra, che rimase nei Mystic Prophecy per altri due dischi prima di dedicarsi agli altri suoi progetti. E insomma, Vengeance, nonostante non sia potente, saturo e carico come i dischi successivi, rimane comunque un ottimo disco di heavy/power metal tedesco variegato e aggressivo, in cui la suddetta ingenuità in qualche modo aggiunge sfumature che ora sarebbe assurdo aspettarsi da loro, e che mantiene intatto il suo valore anche a distanza di due decenni: ascoltare la conclusiva Fallen Angel per credere.

ODAL – Traitor

Griffar: In teoria Traitor è il debutto del progetto principale di Taaken, polistrumentista tedesco dalla stupefacente creatività e protagonista di una miriade di band affiliate, side project, collaborazioni e via discorrendo, tra cui Gnipahålan, Wolfsschrei, Raven’s Empire, Erhabenheit, Barastir, Wald Geist Winter, Isenheim e Aske. Dicevo che in teoria Traitor è il debutto degli Odal, perché in effetti questi ultimi altri non sono che gli Aske dopo aver cambiato nome, credo per via di un’omonimia con un’altra band pure tedesca: vent’anni fa contava ancora evitare di condividere il moniker con qualcun altro, il nome non era solo un nome. Ne sono la prosecuzione musicale in tutto e per tutto, black metal solido, magari non particolarmente originale o raffinato, ma Taaken aveva comunque solo 19 anni quando debuttò con gli Aske, quindi tutto quello che troviamo qui è genuina passione, ‘fanculo il resto. Come nello splendido split EP di Aske con Raven’s Empire, i pezzi sono marci fino all’inverosimile, con sonorità vicine alle black legions più tragiche, nel vero senso della parola. I sample di torture, processi alle streghe, roghi e vessazioni che avevano contraddistinto le composizioni degli Aske qui vengono ripresi in pienezza, e introducono con efficacia le atmosfere che si vogliono raffigurare. Le chitarre nerissime iperdistorte che tracciano riff semplici ed efficaci usano lo stesso identico tipo di sonorità del gruppo primevo, con basso molto distorto e batteria precisa e MOLTO minimale, valorizzando una musica scarna ed essenziale eppure così fottutamente d’effetto. Debutto di soli due pezzi in formato vinile sette pollici, poi ristampato o ripubblicato più volte in varie compilation, tra le quali consiglio caldamente la Discography Box/2013 uscita per Fallen-Angel productions in DVD size con 3 cd-r professionali comprendenti ogni loro pezzo uscito fino al 2013. I due brani di Traitor sono puro black metal vecchio stile, puro odio messo in musica, non c’è bisogno di tante parole. Gli Odal sono dei grandissimi tra i grandissimi, massimo supporto sempre.

LULLACRY – Be My God

Barg: I Lullacry non hanno mai goduto di grossa credibilità. L’altro giorno ero con Ciccio e Belardi, li ho nominati e loro hanno istantaneamente fatto una smorfia di disgusto. Sinceramente non capisco il motivo di tanta acredine: non sono sicuro che i due suddetti figuri abbiano mai ascoltato un disco dei Lullacry, più probabilmente avranno sentito qualche nota di sfuggita secoli fa e tanto gli è bastato per apporre sul gruppo finlandese il marchio dello schifo. Eppure un disco come Be My God non si merita questo atteggiamento, essendo praticamente una riedizione dei Sentenced meno nichilisti, pompati di adrenalina e con qualche tendenza stradaiola. Qui peraltro c’era ancora l’ottima massima Tanya Kemppainen, che a differenza di colei che la sostituirà già dal successivo album aveva una bella voce e che, alla bisogna, sapeva anche graffiare bastantemente. Spero che un giorno ci sarà una riscoperta dei Lullacry: ormai riscoprono anche la peggiore fetenzìa, se la meriteranno anche i Lullacry un po’ di attenzione postuma, o no?

MUSTA SURMA – Kaiken Pyhän Raunioilla

Griffar: I Musta Surma sono un caso credo unico nel panorama del black metal mondiale. Pionieri della scena black finlandese, formatisi nel 1994 col nome Crimson Evenfall, sono l’unica band che io conosca che in più di 25 anni non ha mai pubblicato un full lenght. I due membri storici Thyrgrimmr e Strigoi Mort non hanno nemmeno avuto collaborazioni con altri gruppi, benché si sappia che tra loro e gli Horna ci sia forte e reciproca stima e che spesso in sede live si siano dati una mano. Kaiken Pyhän Raunioilla è il loro secondo EP (il primo è Riena, CD autoprodotto uscito in 500 copie nel 1999 ed oggi piuttosto raro da trovare a prezzi decenti… e occhio ai bootleg!), prodotto da End All Life in versione vinile 7 pollici. Classico black metal finlandese che suona identico ai vecchi Horna ed è un’autentica goduria. Quando si parla di sventagliate di neve ghiacciata in faccia, freddo biblico e malevolenza cristallina i Musta Surma (e gli Horna) hanno sempre risposto: Presente! Loro sono tra quelli che questo modo di intendere il black l’hanno inventato, quindi massimo rispetto e gratitudine. Per chi vuole addentrarsi un po’ nei meandri della loro sparuta discografia, oltre ai due EP i Musta Surma hanno all’attivo la Demo 1997, ristampata dapprima nel 2002 in uno split vinile 12 pollici insieme alla demo degli Horna Varjohissa e in un secondo tempo in CD intitolato Vihan Vuodet da Grievantee productions nel 2005, il quale contiene sia i pezzi delle demo della versione in vinile che quelli di un altro sette pollici split tra le due band uscito nel 2000 sempre per End All Life. Poi hanno pubblicato 4 pezzi nel 6-way split Crushing the Holy Trinity uscito nel 2005 per Northern Heritage, e per ultimo sono ritornati nel 2013 in un 3-way split con Bloodhammer e Annihilatus, mettendoci la intro e il pezzo di apertura Kohti ikuista kadotusta e condividendo con le altre due band il pezzo di chiusura Christian Holocaust. Un vero casino, neh? Se volete comprarvi qualcosa almeno con queste info correte un po’ meno il rischio di pagare più volte lo stesso materiale, visto che in totale la loro produzione si ferma a 20 brani scarsi (escludendo quelli sotto il nome Crimson Evenfall). Dopodiché il nulla. Mai più sentiti, né avuto segni di vita. Non ci sono notizie certe di scioglimento della band, comunque.

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