MĀNBRYNE – Heilsweg: O Udręce Ciała I Tułaczce Duszy

Barre : [about to burn Grandier at the stake]  Confess you are the Devil’s servant! Renounce your master!

Grandier : I am about to meet the God who is my witness! And I have spoken the truth!

Barre : [brandishing the flaming torch and moving closer to Grandier] Confess! Confess! You have only a moment to live!

Grandier : Only a moment, but then I face the just and fearful judgment that you too, reverend father, will soon be called.

Barre : [starting the fire] May your body be consumed by eternal fire!”

Con un efficace e quanto mai appropriato estratto da I Diavoli, capolavoro iconoclasta di Ken Russell (provocatorio regista inglese che non ha mai avuto paura di rischiare e che manca tantissimo), si apre l’esordio dei polacchi Mānbryne, progetto parallelo di Sonneillon dei Blaze of Perdition.

La scena estrema polacca contemporanea è senza dubbio una delle più interessanti, fiorenti e prolifiche del panorama mondiale, ma i Mānbryne (che in inglese arcaico significa “fuoco che ha inghiottito l’uomo”) non si inseriscono né nel filone dei Batushka né – se non in minima parte – in quello dei Mgla, riprendendo ritmiche e sonorità più serrate e lontane nel tempo, a cavallo tra la fine dei ’90 e i primi 2000. I Mānbryne mettono subito in chiaro nelle linear notes il proprio scopo, ossia quello di suonare “pure satanic, death worshipping black metal”, e i riff e i blast beat dell’iniziale Putska, Którą Znam costituiscono un vero e proprio manifesto programmatico della band. Un black metal incredibilmente evocativo ed intimamente malvagio che, oltre a tirare in causa la band madre di Sonneillon, porta alla mente anche certi Naglfar, i Behemoth di Satanica e Thelema.6 e le ritmiche dei connazionali Outre. Una furia assoluta, un attacco all’arma bianca capace di convincere anche nei momenti più riflessivi, grazie ad un lavoro pazzesco sulle chitarre da parte di Renz e Wyrd e alla prestazione maiuscola di Sonneillon, frontman assolutamente magnetico e dalla voce feroce ed incredibilmente evocativa.

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Ed è soprattutto questa alchimia, questo equilibrio perfetto tra i riff intrecciati dai due chitarristi sui quali si innesta Sonneillon a rendere davvero notevole la proposta della band; ed è impossibile restare indifferenti davanti ai cinque lunghi brani che compongono Heilsweg: O Udręce Ciała I Tułaczce Duszy (che secondo Google Translate significa qualcosa di simile a “Percorso di salvezza: sul tormento del corpo e il vagare dell’anima”). Perché, se è vero che i nostri non inventano nulla di nuovo, un brano come W Pogoni Za Wiarą riesce comunque a sorprendere e a trasmettere un profondo senso di inquietudine ed angoscia, così come la splendida Majestat Upadku, interamente giocata sui cambi di atmosfera e di ritmo. Un’atmosfera se vogliamo anche cinematografica, come testimoniato non solo dal sample di Ken Russell, ma anche dalla dedica alla memoria di Max von Sydow, attore bergmaniano per eccellenza, scomparso nel 2020.

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Ed è proprio la voce del celebre attore svedese ad accompagnarci verso la fine del disco con la tiratissima Na Trupa Trup, un brano che se fosse stato pubblicato da un’altra band sarebbe probabilmente diventato una banale ripetizione di cliché, ma che, grazie alla sapiente scrittura dei Mānbryne, riesce a conquistare sin dal primo ascolto.

E mentre Antonius Block, il cavaliere in preda ad una profonda crisi personale e spirituale, si confessa al proprio interlocutore nell’immortale Il Settimo Sigillo, si arriva alla conclusione di un grandissimo disco di esordio che ci conferma un concetto molto semplice, ossia che per scrivere buona musica non è necessario inventare qualcosa di nuovo a tutti i costi, o creare ibridi spesso improponibili, ma basta avere buone idee e personalità. E i Mānbryne ne hanno da vendere. (L’Azzeccagarbugli)

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