Cinque live album per un delitto AKA il metallo contro gli alieni

Per gli HYPOCRISY ho sempre avuto un debole, e in particolare ho un debole per il loro suono; cosa, questa, che riesce a farmi apprezzare qualsiasi cosa facciano uscire, basta che suoni a quel modo. Un live album degli Hypocrisy quindi è manna dal cielo, sia perché il loro disco migliore resta poi Hypocrisy Destroys Wacken, il live fatto uscire dopo The Final Chapter ormai quasi quindici anni fa, e sia perché ok tutto quanto, ma poter risentire ancora le urla di Peter Tagtgren su Apocalypse vale quindici The Arrival. Gli ultimi dischi sono comunque ampiamente rappresentati, anche se le cose migliori restano le più vecchie: A Coming Race, Killing Art, Roswell 47, Osculum Obscenum, Penetralia, tutte cose che al solo sentirle nominare ti viene voglia di invocare gli alieni, uniche vere muse ispiratrici di quell’evidente cannabinomane di Tagtgren oltrechè di Roberto Pinotti, che è persona serissima e degna di stima. Io conosco una persona che si chiama Mancio. Mancio è un mio caro amico, e racconta sempre di essere stato rapito dagli alieni. Ovviamente è una puttanata, ma si trova sempre gente che ci crede. Non si sa come faccia, visto che è chiaramente una puttanata, ma ci crede. La gente spesso crede a qualsiasi cosa gli si dica. La gente vuole credere. E quindi, quando trova questo genere di creduloni, Mancio si scatena con storie di sonde rettali, chip dietro all’orecchio, sevizie sessuali rettiliane, e via di questo genere. Io sogno un giorno di sedere su un ampio e comodo divano negli Abyss Studios e parlare di alieni con Peter Tagtgren, Mancio, Roberto Pinotti e Cesare (un altro soggetto). Di sottofondo, Hypocrisy Destroys Wacken. Sarebbe una di quelle esperienze che ti cambiano la vita, tipo un anno in un monastero tibetano o un concerto del Sosia di Nino d’Angelo ad un matrimonio di sottoproletari affiliati alla camorra. Mi piacerebbe molto come cosa.

Riregistrare o riproporre un disco della propria età dell’oro è un chiaro sintomo di stato avanzato di bollitura. Non che avessimo alcun dubbio sul fatto che i PARADISE LOST fossero bolliti da parecchio, ma sentivamo il bisogno di ricordare questo principio elementare. Ed ecco quindi Draconian Times MMXI, registrazione del concerto di NON ME NE FREGA UN CAZZO in cui hanno riproposto tutto Draconian Times, appunto, che a detta di molta gente perbene -tra cui io- è il loro disco migliore.
Il discorso è semplice. Strumentalmente spacca, anzi suona come una versione rimasterizzata e rivitalizzata -pur se fedelissima- all’originale. Vocalmente, è un pianto. Nick Holmes non ce la fa più a cantare a quel modo, non è più proprio per lui, ha perso la voce, la potenza, secondo me non gli viene neanche più di cantare a quel modo, e davvero sentire Forever Failure o I See Your Face canticchiate e fraintese così fa male al cuore. Un minuto di silenzio per ricordare che razza di voce aveva Nick Holmes nella prima metà anni novanta.

Servirebbe rimediare una versione karaoke, perché strumentalmente è incredibile. POMPA. Sarebbe da usare per rievocare la scenetta dei Persuader (chi già c’era, sa) cantando Once Solemn finchè non si sveglia tutto il palazzo compresa la coinquilina fattona mummificata nell’altra stanza. Oppure trovare un modo per farlo funzionare su Singstar. Perché sul serio la voce non si può proprio sentire. Magari si trova un bootleg russo senza la traccia vocale. Se lo vedete avvisatemi a bargonaz@googlemail.com. Oh sono serissimo.

Un sacco di gente criticò Songs Of Silence: Live in Tokyo, il precedente live dei SONATA ARCTICA (uscito dopo Silence), perché non si sentivano le chitarre. Però voglio dire, ci vuole pure un po’ di elasticità mentale per giudicare un gruppo power finlandese il cui compositore principale è il tastierista; andarsi a sentire i Sonata Arctica e aspettarsi i Pantera quindi mi sembrava eccessivo. Questo Live In Finland però è indifendibile. Lì la chitarra era a volume molto basso, si nascondeva sempre dietro le tastiere come un’ombra, ma qua sembra quasi che non sia stata registrata; anzi, sembra quasi che non sia stata amplificata e che l’esilissimo suono che si sente –ma se proprio proprio aguzzi l’orecchio- sia un rumore ambientale di uno dei microfoni messi sul palco. Non si capisce se queste scelte abominevoli di produzione siano figlie dell’ego di Tony Kakko o di un pluriomicida ritardato di 5 anni messo dietro alla consolle. Oppure potrebbe essere una specie di bullismo rancoroso nei confronti del nuovo chitarrista, sulla scia del trattamento riservato a Jason Newsted durante le registrazioni di And Justice For All, che difatti non ha praticamente il basso. Io propendo più per la seconda comunque. E poi come ulteriore valanga di merda sulle ambizioni del disco c’è una scaletta completamente sballata, molto concentrata sugli ultimi album, che a parte un paio di canzoni a disco fanno perlopiù schifo, e una cattivissima selezione degli altri. Sei pezzi da Ecliptica (con Replica presente due volte), solo UN pezzo da Silence (per di più Tallulah, che è una ballata stracciamutande, cristo santo questi hanno composto The End Of This Chapter che piace pure a Michele Romani e stanno a cazzeggiare), due dal terzo (le ballate, ovviamente, e manco Broken che almeno era bella sul serio) e due dal quarto. Io mi sento proprio di stare a perdere tempo a parlare di questa cosa, quindi bafangulo a Tony Kakko e andiamo avanti.

un giovane fan dei sonata arctica scherza col produttore

Vabbè e poi c’è il live di HALFORD, che si chiama Live at Saitama qualcosa ed è decente. Halford è la voce ufficiale dell’heavy metal, alcune cose soliste sue spaccano il culo anche a un rinoceronte con la cintura di castità, i musicisti che si porta dietro fanno il loro sporco lavoro, il suono è potente e moderno in stile Live Insurrection. Ve lo ricordate quanto era fico Live Insurrection? Lì c’era una versione di Resurrection che li faceva resuscitare sul serio i morti, ogni volta che la sento mi viene da piangere. Ecco quest’ultimo live è più di maniera, te lo ascolti, ti prende ma la voce di Rob ovviamente non è la stessa di dieci anni fa. Io una volta l’ho visto per strada, Rob Halford. Ero a Londra, dalle parti di Warren Street, al secondo piano di un autobus. E vedo Rob Halford con le buste della spesa che cammina sul marciapiede. Era proprio lui, anche perché pochi mesi dopo ho incontrato, sempre da quelle parti, Scott Travis e il nuovo chitarrista che camminavano parlottando e mangiando una schifezza tipica londinese tipo i noodles tailandesi o le patatine al formaggio. Insomma, un conto è incontrarlo nel backstage di un concerto nel pieno esercizio delle funzioni di sacerdote del metallo, un altro conto è beccarlo mentre se ne torna dal supermercato con la carta igienica e i fagioli precotti nelle buste di plastica. E niente, mi sembrava un aneddoto meritevole di essere tramandato.

Finalmente riesco a parlare anche di The Final Jolly Roger dei RUNNING WILD, che me lo sto palleggiando da settembre. Doveva essere la registrazione dell’ultimo concerto del tour d’addio, reso ancor più epocale dal fatto che si è svolto a Wacken. Quindi volevo trovare l’ispirazione per scrivere qualcosa di bello per rendere omaggio alla grandezza dei Running Wild, che io stimo molto e che sono capaci di farmi fare air guitar agitandomi come un mentecatto anche quando sono in situazioni che proprio sarebbe meglio di no. Poi Rock’n’Rolf ci ha ripensato, ha detto che non si sciolgono e che uscirà addirittura un nuovo disco l’anno prossimo. Quindi a quel punto ha perso tutta la sua valenza storica e io ho inziato a procrastinare. Comunque il disco è splendido, del resto i Running Wild hanno trent’anni di esperienza in cui hanno fatto sempre più o meno le stesse due canzoni ripetute all’infinito, quindi è pure normale che nel concerto d’addio a Wacken tirino giù l’inferno. Qua dentro c’è roba come Bad To The Bone, Black Hand Inn (Black Hand Inn!), Soulless, Port Royal, Whirlwind, Under Jolly Roger, roba che ti fa davvero sentire felice di essere un metallaro e che ti mette voglia di andare a cucinare le costolette di agnello alla brace bevendo vino rosso nel frattempo, così che quando inizi a mangiare sei già ubriaco e ti si gonfiano gli occhi perché il riff di Gate of Purgatory è troppo bello. Costringerò i miei amici a mettere il dvd di sottofondo al prossimo barbecue di Pasquetta. (barg)

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