ONCE UPON A TIME IN NORWAY #23: la mostra sul black metal alla biblioteca di Oslo

Come avrete letto su qualche testata online, la Biblioteca Nazionale di Oslo ha recentemente inaugurato una mostra sul black metal, corredata da una serie di incontriconferenzequiz e altre sciccherie del genere. La cosa, in realtà, ha radici antiche: più di dieci anni fa, parlando con alcuni archivisti della loro sezione musicale, scoprii che avevano acquisito un grosso fondo di vinili, poster, oggetti e altri parafernali dell’epoca. “Cosa aspettate a farci una mostra?”, gli chiesi allora. Se la sono presa comoda, ma meglio tardi che mai. Quindi, vuoi non andare al vernissage? Andiamoci.

La prima impressione è che sia una mostra intelligente, e con questo intendo un’operazione non rivolta ai fan. “Sapete già tutto meglio di noi”, esordisce la guida rivolgendosi ai pochi metallari presenti, e l’obiettivo è raggiungere quella parte della cittadinanza – la gran parte, aggiungerei – che il black metal non se l’è mai filato o lo ha solo visto sulle prime pagine dedicate ai tristi fatti degli anni Novanta. La scelta degli oggetti e il corredo esplicativo, in sé, non sono male, ma onestamente c’è poco che stupisca. OK, c’è la prima stampa fucsia di Deathcrush, OK, c’è una bella vetrina sul riuso di materiale mitologico, OK, c’è una bella sezione interattiva per indovinare i loghi più indecifrabili. Ma nessuna delle scelte espositive – compresa la porta originale di Helvete, che si può simbolicamente varcare passando da una stanza all’altra – spostano di un centimetro l’interpretazione del fenomeno che già conosciamo.

Resta quindi l’impressione che la mostra rappresenti, in fin dei conti, il coronamento di quel processo di disincanto del black metal, che passa, in ordine sparso, dai corsi di growl ai viaggi organizzati per backpackers, per non dire delle cosiddette Inferno music conferences. Tutto bene e tutto giusto, è il business, baby, ma siamo sicuri che da questa cosa se ne esca migliori? Che resta del black metal, nel momento in cui viene assunto nel Parnasso dei Parnassi, tra scrittori, premi Nobel, filosofi e scienziati? Rimuginando questi dubbi mi avvio verso la sala conferenze (…) dove è in programma il concerto di inaugurazione della mostra. In maniera altrettanto intelligente, i curatori hanno scelto di non invitare un qualsiasi gruppo storico a fare una breve marchetta, ma di scegliere due artisti che a loro modo incarnassero l’eredità del black metal. La line-up, tra l’altro, è tutta al femminile: una è la polistrumentista americana-norvegese Sylvaine, le altre sono un collettivo di performer che ha fatto abbastanza parlare di sé, le Witch Club Satan.

Se sulla prima, onestamente, non trovo molto da dire – del black metal recupera più che altro il gusto per il folklore e il fantasy, e il resto ve lo potete ascoltare da soli – va fatto un discorso a parte sulle Witch Club Satan. In primo luogo, non sono una band. All’attivo hanno forse 1-2 pezzi non particolarmente significativi, e si sono fatte conoscere per una serie di performance in contesti decisamente eterodossi, come ad esempio Ultima, il festival di musica contemporanea più importante della Norvegia. Avendo ammesso candidamente di non aver mai preso in braccio uno strumento prima di aver fondato il gruppo, le Witch Club Satan hanno subito messo in chiaro che il loro approccio al black metal è concettuale, non musicale, e la cosa, oggettivamente, ha il suo potenziale. Dio ci scampi dai filologi e dai Besserwisser, e quanto c’è di più vicino allo spirito del genere che fondare un gruppo senza sapere da che parte prendere uno strumento? I presupposti per fare qualcosa di buono ci sono o sarebbero tutti.

Le Witch Club Satan

All’atto pratico, però, le Witch Club Satan lasciano qualche perplessità. Imparentato col recente revival nordico della figura della strega come simbolo socioculturale, il progetto prende in prestito la carica ribelle e post-punk del black metal per fare, fondamentalmente, dell’attivismo femminista. Le tre streghe arringano il pubblico ex cathedra sul perché il patriarcato è destinato alla sconfitta e su come il black metal possa aiutare la causa. Il genere viene quindi ridotto a essenza filosofico-esistenziale, a una subcultura della ribellione che le persone possono prendere in mano per cambiare le loro vite. Fin qui il discorso fila, e si vede che le Witch Club Satan ci credono, o per lo meno sono convincenti: anche la mossa di denudarsi a metà – perché se i blacksters maschi possono stare a petto nudo, perché non dovremmo farlo noi? – è meno banale di quanto possa sembrare a raccontarla. Nel contesto della performance funziona eccome.

I nodi vengono al pettine se si comincia a riflettere sui presupposti culturali di tale ispirazione. Conosciamo bene i tempi bui in cui viviamo e quanta omologazione di pensiero li contraddistingua. Quindi, quando ho letto sul giornale che le Witch Club Satan si sono spese in prima persona per escludere i Pantera dal bill del festival estivo a cui anche loro parteciperanno (il Tons of Rock di Oslo), ovviamente a causa delle baggianate di Phil Anselmo, ho cominciato a sentire qualche scricchiolio nelle pareti concettuali del progetto.

Il Patriarca

BREVE DISCLAIMER PER CHI LEGGE IN MANIERA IDEOLOGICA E/O HA PROBLEMI ERMENEUTICI

Quanto scrivo non è assolutamente una difesa di Phil Anselmo nel contesto dei fatti che conoscete. Per quanto mi riguarda, si è comportato da imbecille razzista, e chi si comporta da imbecille razzista (che sia ubriaco o meno) legittima gli altri a considerarlo un imbecille razzista. Non ne faccio neanche una questione di provocazione o di trasgressione, come potrebbero esserlo, ad esempio, i giochi col totalitarismo dei Laibach o addirittura, forse, le svastiche pitturate sulla panza dei Taake (episodi su cui, con la giusta calma e nella giusta situazione, sono aperto a discutere). Quella di Phil Anselmo è stata un’uscita imbecille e razzista e tale resta.

FINE DEL BREVE DISCLAIMER PER CHI LEGGE IN MANIERA IDEOLOGICA E/O HA PROBLEMI ERMENEUTICI

Insomma, mi lascia un po’ perplesso che ci si senta legittimati a impedire di lavorare a qualcuno, per quella che è stata, per quanto imbecille e razzista, un’uscita, peraltro ampiamente ritrattata (lacrime di coccodrillo, per carità, ma tant’è). Onestamente penso che ognuno debba essere responsabile di quello che dice, e che non debba necessariamente passarla liscia, ma da qui a non poter più lavorare mi sembra che ci sia un abisso – considerata anche l’oggettiva importanza dei Pantera per la storia del metal. La perplessità è ancora maggiore nel momento in cui queste richieste arrivano da chi si sente legato concettualmente al black metal e alla carica ribelle che lo contraddistingue. Black Metal ist Krieg, ci ripetono le Witch Club Satan dal palco della Biblioteca Nazionale, ma Krieg contro cosa e chi? Siamo sicuri che siano coscienti del bagaglio culturale di tale affermazione? Insomma, l’impressione che resta è che le Witch Club Satan siano ribelli entro dei sanissimi e sicurissimi confini di pensiero, e cosa è più mainstream, al giorno d’oggi, di ribellarsi contro il patriarcato? Cosa è più orribilmente lontano, concettualmente parlando, dallo spirito del black metal, dell’abbracciare il mainstream?

Intendiamoci: ci sono battaglie legittime e altre no. Penso che si possa essere d’accordo sul fatto che la battaglia femminista abbia un senso, e quella del white power no. Sono anche convinto che il laissez-faire imperante nei confronti, ad esempio, del NSBM, non sia stata una bella cosa per il movimento black metal, che ora si trova a gestire questa gentaglia. Ma resta l’amaro in bocca a vedere che lo spirito ribelle, e, appunto, post-punk del black metal venga ridotto a una battaglia radical da sala conferenze della Biblioteca Nazionale. Non sono sicuro che la causa femminista abbia bisogno del black metal, così che il black metal guadagni qualcosa dall’essere tirato per la giacchetta e ridotto a strumento di propaganda. Cosa ne sanno – e cosa ne penseranno – le Witch Club Satan delle svastiche dei Sex Pistols? Ne avrebbero chiesto l’allontanamento da un festival se si fossero trovate a dividere il palco con loro? Per ora rimugino, sperando di sbagliarmi e che il potenziale di questo collettivo riesca a stupirmi in futuro. (Giuliano D’Amico)

6 commenti

  • Interessante come queste paladine del femminismo, per combattere il Patriarcato (ahahaha), nove volte su dieci non abbiano altri argomenti da offrire a parte la passera o le bocce; dando così ragione a chi non le considera altro che pezzi di carne. Solito ribellismo ad uso e consumo del monopensiero imperante nel nostro tristissimo occidente

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  • Per associare la lotta femminista al black metal ci vuole davvero un gran coraggio (o non aver capito proprio una beneamata cippa, dipende da come uno vuole interpretare la cosa).

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  • Witch Club Satan si sono spese in prima persona per escludere i Pantera dal bill del festival estivo a cui anche loro parteciperanno (il Tons of Rock di Oslo).
    La frase chiude il tema: viva Anselmo.

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  • È possibile associare una forma di femminismo “primitivo” e violento al black metal. Servirebbe parlare di cazzi e marroni evirati e dati in pasto a uno Jǫtnar, il quale rigurgitando la poltiglia indigesta cederebbe involontariamente i resti a un affamato Ratatoskr. Ma la cacca derivante dal plurimo pasto nutrirebbe un Yggdrasill antropomorfizzato dal seme dei testicoli triturati. Staccandosi dalla terra natia l’albero intriso del male maschile sfiderebbe le alleate Frigg, Sif, Freyja e Eir in uno scontro di ovuli e spermatozoi fotonici.

    Questo il concept di base e via di tremolo picking.

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  • Metal Skunk dà sempre degli spunti interessanti. Secondo me: intanto Phil Anselmo ha scritto e cantato “Fuckin’ Hostile”, per dirne una. Poi la mostra…, la mostra, ma come si fa a commentare una mostra del genere? Bello che ci sia, ma sarebbe come andare a una mostra sulla Nouvelle Vague francese. Sono stati dei movimenti, dei moti di spirito, un’aria che si respira. O li si è vissuti in prima persona, o li si studia per conto proprio, con tutto il tormento che ne deriva. Una mostra abbassa quasi a livello zero il potenziale destabilizzante ed eversivo che si sono portati dietro

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  • Esattamente Giuliano condivido il tuo pensiero. Il Black Metal era nato contro il sistema, contro il moralismo, la società e ha copiato molto dallo spirito di ribellione del Punk. Per me il Black Metal è morto quando è entrato un certo tipo di politica, quando questo estremizzare è diventato ridicolo, vedi i vari Nazi Satanic Skin che mischiano simboli senza conoscerne il significato, quando poi sappiamo tutti che Cattolicesimo e Cristianesimo hanno sempre supportato Fascismo e Nazional Socialismo. In Italia abbiamo i Mortuary Drape attivi dal 1987 ma non vanno bene non sono “Norvegesi”🖕.

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