Avere vent’anni: BLOOD RED THRONE – Affiliated with the Suffering

Non era affatto raro che musicisti norvegesi si buttassero sul death metal americano, anche perché era loro necessità rientrare nei seguenti parametri:
1 – Non fare una grossolana figura di merda coi vicini di casa svedesi, che, in tema di death metal, disponevano di un’identità fortissima e che già avevano contaminato alcuni paesi nordeuropei come l’Olanda.
2 – Buttare benzina sul fuoco in materia di metal estremo, il che non poteva unicamente ed eternamente significare black metal, specie dopo che la leadership in materia era passata a Immortal e Satyricon. Chissà per quanti anni ancora, pensavamo. Pochi, pochissimi; ma l’avremmo scoperto in seguito.
Zyklon e Myrkskog compresero il senso di questa operazione e tirarono fuori dei bei dischi. Ma, soprattutto, presero i Morbid Angel e ne ricavarono una sensata rivisitazione scandinava: fredda, tecnica, contaminata da campionamenti e, ciliegina sulla torta, con Daemon che gridava “psychotronic schizoid” come se avesse appena tirato fuori la testa da una ciotola di cocaina.
I Blood Red Throne a mio parere non hanno mai compreso il senso della suddetta operazione. Si sono limitati a suonare come una cover band del più recente death metal americano prima che questo cominciasse a degradare. Dunque non l’epoca degli Skinless ma piuttosto quella della fama totale di band come Cannibal Corpse e Deicide. Il problema è che i norvegesi hanno una mentalità, un approccio allo strumento e al suo studio totalmente differente dagli americani. Motivo per cui il loro death metal è risultato formalmente ineccepibile ma anche un po’ vuoto di sentimento, e lo si è capito fin da subito.
Ribadisco che il primo album Monument of Death fu una bella bordata. Ancora ben ricordo canzoni come The Children Shall Endure, e, non bastasse, ricordo che i Blood Red Throne si erano subito accorti che quell’album aveva certi numeri da mostrare. Allora a un anno di distanza cacciarono fuori un EP, teoricamente esteso, che altro non era che una versione ridotta del medesimo album, con meno sangue in copertina e forse un inedito e mezzo nella faretra.
Nel 2003 tornarono con Affiliated with the Suffering, ennesima prova dell’iperattività di Tchort in quei tempi. Già militante in Carpathian Forest e Green Carnation, oltre ad essere un ex Emperor, Tchort aveva assemblato i Blood Red Throne con Dod, chitarrista degli Scariot nonché turnista live coi Satyricon – il che comportava l’esser pagato in vini pregiati o token per degustazioni presso le cantine più esclusive.
Risentito oggi Affiliated with the Suffering non mi lascia assolutamente niente, se non l’essere prodotto decisamente meglio del suo predecessore annegato dalle frequenze basse. La produzione di Affiliated with the Suffering rasenta a dire il vero la perfezione. Sono i pezzi a essere asettici, anemici, vuoti, con una sensibile rimonta del sentore dei Deicide nei confronti dei Cannibal Corpse, onnipresenti, riconoscibilissimi nota dopo nota un solo album prima.
Rimesso su il primo disco, Monument of Death, ho subito riconosciuto certi suoi passaggi. Affiliated with the Suffering, per alcuni il migliore della band, non ebbe questa capacità di imprinting. Dopodiché, davvero, di loro non mi ricordo proprio un cazzo. (Marco Belardi)