La finestra sul porcile: THE WATCHER

“Ieri sera ho iniziato a vedere The Watcher”
“E sei riuscito a dormire, poi?”
Non vi stupirete se questo dialogo, origliato in ufficio, mi ha convinto a dare una possibilità alla nuova sensazionalissima serie Netflix. Ma vi giuro che la visione non ha influito minimamente sul mio sonno, forse perché già disturbato di suo. Evidentemente c’è gente che non ha dormito a causa della perfidia di Gargamella, in infanzia. Io da ragazzino ho avuto dei problemi coi dinosauri di Jurassic Park e con il cartonato della Bambola Assassina esposto davanti alla videoteca. Trent’anni dopo, sono traumi assorbiti. Evidentemente qualcuno non ha superato i propri demoni di infanzia e quindi avrà avuto problemi di sonno causati da questa boiata trasmessa e prodotta dalla nota piattaforma, dove non succede niente, ma dico proprio niente. Ve lo dico, l’ho finita tutta in un soffio per levarmela dai coglioni (ho un problema col non finire). Devo dire che si resta nonostante tutto intrattenuti da svolgimento ridicolo, trovate assurde, trama claudicante, forzature involontariamente grottesche. Prodotto da Ryan Murphy. Per qualcuno sarà motivo di interesse. A me sarebbe pure bastato American Horror Story, avessi saputo prima.

Ultim’ora: svelata l’identità dell’Osservatore
Cerco di non spoilerare troppo, che poi l’Azzeccagarbugli mi cazzia. La trama si baserebbe perfino su avvenimenti realmente accaduti, ma non ho approfondito, per quello che me ne frega. Protagonista una coppia di yuppie capitalisti newyorkesi, stereotipati a bestia e con due figli al seguito (del più piccolo la sceneggiatura non si cura nemmeno di descriverlo, tratteggiarne il carattere, lo sviluppo del personaggio o anche solo le caratteristiche iniziali, ah-men, tanto rimane un personaggio-soprammobile). C’è Naomi Watts con un personaggio talmente odioso, artista che fa i soldi vendendo vasi e vasetti, e un marito italoamericano coi capelli ingelatinati e vestito come un deficiente, possessivo ai limiti della perversione per la figlia adolescente. I due si indebitano fino al collo per comprare una casa vittoriana grande come una caserma ad un’ora dalla città. Poi iniziamo a ricevere lettere sottilmente minacciose da parte di un sedicente Osservatore, mentre fanno la conoscenza con una serie di vicini ed altri personaggi uno più ambiguo e spostato di quello prima. Partirebbe abbastanza bene, insomma.
Poi non succede nulla. I due cercano di scoprire chi sia l’osservatore, sospettano a turno di chiunque e litigano con tutti. Ottimo. Ma in realtà da poco dopo l’inizio agli sceneggiatori non frega nulla di fare salire la suspence o l’inquietante. Hai una casa vittoriana da cui tutti sembrano ossessionati e che nasconde segreti. Hai decenni di letteratura e filmografia thriller/horror specifiche sulle case alle spalle, nonché un certo Lovecraft che sull’architettura della vecchia Nuova Inghilterra potrebbe offrire qualche spunto. Ma scegli di continuare a rappresentare la casa come un paradiso patinato da rivista di architettura. Hai un padre ambiguo nei confronti della sessualità emergente di una figlia che capisce che, non trovandosi più in città, per rimorchiare deve farsi notare un po’ di più. Ma scegli di soffocare pure questa possibile sottotrama inquietante con una lezioncina sull’età del consenso nel New Jersey, che mette tutto a posto. Sembrerebbe pure che ci sia un tunnel sotto la casa, ma a nessuno sembra fregar nulla di cercarlo e di vedere dove sbuca.
Gli unici tre secondi (3) di paura li donano una manciata di fotogrammi di un episodio diretto dalla figlia di Lynch. Poi più niente. C’è una duplice morte violenta, di cui si sospetta da subito. Viene poi svelata la verità vera, ancora peggiore e più inquietante, ma siccome serve a cavare d’impaccio la sceneggiatura uscendo dal meccanismo specifico della trama principale bon, frega più nulla a nessuno.
Intanto noi scopriamo che i macellai in America hanno i banconi di legno perché il marmo si impregna di sangue (il legno no). Nel clou della storia, nel finale, assistiamo in climax di crescente disinteresse ad una edotta dissertazione sui materiali più utilizzati per le cucine a inizio secolo scorso, tenuta da personaggi ancora sospettati ma, ehi, cazzo ci frega dell’Osservatore, noi vogliamo sapere se il marmo rosa è coerente con l’estetica vittoriana. A un certo punto capiamo che il marito sta indagando per conto suo perché ha fatto un bello schema su un pannello di compensato dove ha stampato i nomi dei personaggi e fissato le foto, poi unite da fili rossi. Perché un americano (o uno spettatore medio di Netflix) capisce che c’è un legame tra due elementi della storia che sta seguendo da ore se vede un idiota che ha teso un filo tra due foto, sennò no. La cosa poi più inquietante di tutto il telefilm, giuro, più ancora di una sceneggiatura così misera, è l’ossessione per il vino. In qualsiasi momento i due protagonisti sono ripresi mentre bevono calici colmi di rosso, dissertandone perfino, sia che siano rilassati, inquieti, depressi, sia che stiano celebrando qualcosa o indagando. A momenti pure in bagno. S’era già capito nel tracollo delle ultime due stagioni di Ozark che qualcuno è intenzionato a spingere in massa il consumo di vino negli Stati Uniti. Certo, si può fare magari con maggiore discrezione. Intanto nessuno fuma più nei film, a meno che non sia marijuana. Sono i tempi. Ah, non parliamo per cortesia del personaggio dell’investitore privato, letteralmente ridicolo e non credibile fino alla fine. Basta, non voglio più perderci tempo. Una delle serie più brutte e insulse che possiate vedere. (Lorenzo Centini)
Certo che trovare coerenze e vere verita’ di tutti i giorni in una serie tv e’ da ROTFL. Non e’ un capolavoro come tanti hanno ammesso, io l’ho trovata decente e divertente in alcuni punti. Poi sono poche puntate quindi ampiamente vedibile. IMHO c’e’ di mooooolto peggio.
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