Ufomammut // Diego “DeadMan” Potron // Mr. Diniz @Bloom, Mezzago (MB) 14.05.2022

Ci eravamo presi un bello spavento un paio d’anni fa quando leggemmo, sulla loro pagina Facebook, che Vita, il batterista storico, se ne andava e che gli Ufomammut si prendevano una pausa che non si sapeva quanto sarebbe durata. Per fortuna nostra, non è durata troppo e nel giro di due anni possiamo parlare già di un nuovo album dei piemontesi, probabilmente intitolato Fenice non a caso, e di una nuova serie di concerti. Il coordinamento con le tempistiche delle restrizioni per la pandemia è perfetto. Io, felicissimo, passo a prendere il mio carissimo amico che scrive per la concorrenza e insieme a lui mi dirigo verso Mezzago, paesino di neanche cinquemila anime della Brianza profonda che ospita uno dei locali storici della zona. Il Bloom festeggia infatti con una serie di eventi (tra cui questo concerto) i suoi 35 anni di attività che l’hanno visto ospitare nientemeno che i Nirvana nell’89.

Il tempo di arrivare al locale, trovare parcheggio, prendere una birra e scambiare due parole con chi me la sta servendo, che mi viene detto che Mr. Diniz ha già suonato e a breve inzierà Diego “DeadMan” Potron. Entro nella sala e, mentre l’artista si prepara, guardo la mostra di poster del collettivo Malleus, lo stesso dietro alla creazione della Supernatural Cat, appesi ai lati della sala. La scelta di far aprire a due artisti solisti che propongono sonorità che spaziano dal post-rock al blues, passando per il folk, potrebbe sembrare controintuitiva. Ma, come tutti sappiamo e come i Messa ci hanno ricordato con Close, blues e doom sono molto più vicini di quanto forse piacerebbe ammettere a qualche metallaro purista. Il nostro DeadMan dà un’ottima prova di sé con un’esecuzione rapida ma efficace, che, grazie alla sua voce profonda, ci riscalda il cuore in attesa degli Ufomammut, il piatto forte della serata.

Dopo i soliti tempi morti necessari tra un gruppo e l’altro, Urlo sale sul palco seguito da Poia e Levre, il nuovo batterista che completa il trio di Tortona. La sala comincia a riempirsi all’inverosimile delle figure più disparate. Se ogni sottogenere (o perfino gruppo) metal ha il suo pubblico di riferimento abbastanza riconoscibile, difficilmente mi è capitato di vedere un pubblico così variegato ed eterogeneo come a questo concerto degli Ufomammut. Dal vecchietto in camicia, bombetta in testa e due reflex al collo, che fa foto a lato del palco, a due ragazze, una con un collare con borchie lunghe 5 centimetri e l’altra con una croce ribaltata disegnata (o tatuata?) in fronte come Glenn Benton, passando per il metallaro più standard che sembra uscito direttamnete da Vikings. Quando iniziano a suonare l’emozione del pubblico è palpabile e il trio fa il solito concerto silenzioso, dove vengono lasciati parlare la musica e i riff.

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Non saprei dire con certezza quali canzoni hanno suonato, non mi interessa e non è neanche importante. Sono sicuro di riconoscerne qualcuna da Fenice, che ascolto in continuazione da quando è uscito meno di dieci giorni fa, ma non sono certo che l’abbiano riproposto per intero. E alla fine questo è anche coerente con l’ultima evoluzione del gruppo, meno concentrato sulla proposizione di canzoni dalla forma più classica ma sulla creazione di un flusso musicale continuo e ininterrotto, lisergico. Ci lasciamo quindi trascinare tutti, felici, dagli effetti riprodotti manualmente e magistralmente, con poco o nulla di registrato. L’incredibile intesa degli Ufomammut è ancora più palese quando li si vede dal vivo e si notano gli sguardi che si scambiano. Qui si capisce perfettamente anche che le canzoni vengono create con continue prove e stratificazioni (cosa non scontata). Il ragazzetto accanto a me comincia ad agitarsi convulsamente ogni volta che la tensione dei riff aumenta. Ogni tanto urla come un forsennato e riesce incredibilmente a sovrastare la congestione di suoni della sala del Bloom. A me viene voglia di salire sul palco e ondeggiare insieme a Urlo mentre suona quelle note profonde e distorte a ritmi lenti e cadenzati. Il mio succitato caro amico che scrive per la concorrenza, in uno dei rari momenti di pausa tra una canzone e l’altra (se non l’unico), si gira verso di me e mi dice queste tre parole: “Un satana cosmico”.

Il concerto ci porta così in una dimensione surreale, senza tempo né spazio. Le ultime note del trio ci riportano invece alla realtà, bruscamente. Non saprei dire quanto tempo è passato, ma ho la netta sensazione che sia stato tutto troppo veloce e che sia finito tutto troppo presto. Il ragazzetto accanto a me prova a chiedere un bis urlando, questa volta non più sovrastato dagli strumenti, ma forse è troppo giovane e non sa che gli Ufomammut sono un gruppo senza compromessi e queste cose non le fanno. Poia, l’ultimo a essere rimasto sul palco, dice di no con un cenno e ci saluta, dandoci appuntamento al prossimo concerto. Pericolo scampato.

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