UFOMAMMUT – Oro: Opus Alter (Neurot Recordings)
E che gli vuoi dire agli Ufomammut? E’ una di quelle band talmente spezzate in due e chiuse in se stesse da non fornire poi tanti rimandi ad una qualche concreta filologia psichedelica. Senza padri, senza madri, senza l’origine certa che per alcune band è riassumibile con facili equazioni del tipo Black Sabbath + doom ottantiano passato per le droghe leggere o psichedelia stoner + bave spaziali + demenza sludge, il gruppo riesce comunque ad offrire una resa compatta e autoconclusiva. Non che si vogliano frustrare le aspettative poetiche della band che tanto ha fatto per produrre un lungo concept diviso in due tronconi fumogeni, ma la resa del disco in questione ha la potenza e la dinamica tipica di quei vecchi dischi in vinile che i nostri padri ora che iniziano a sognare la pensione non hanno più paura di mostrare: quei dischi che dovevi ascoltarli dall’inizio alla fine e qualcuno doveva pure svegliarti dal torpore del trip per girarlo sul piatto. Ecco, ha la magia di quei vecchi dischi che riuscivi a sognare la notte senza spezzettarli per forza a brani e comunque riuscivi e godere di quei movimenti apicali che ti catapultavano nel mondo dei folletti, il tutto senza il bisogno -appunto- di farsi troppe domande sull’origine del sound.
In più ha quella cosa lì, un potentissimo miscuglio di mestiere, orecchio sonico per l’abilità (concretizzata in un rodaggio evidentissimo sin dalla prima traccia) di sviluppare per ogni singolo pezzo trame sempre più convincenti e un gusto per le aperture di orizzonti liquidi e psichedelici che fa del disco un immensa iniziazione catartica al culto dell’occhio a mezz’asta.
Viene meno la componente mistico-ossessiva tipica del doom, e tale misticismo se possibile viene dispensato in favore di una consapevolezza dei propri mezzi che altro non è che cieca dedizione alla causa metallara, quindi pilota automatico quanto basta e riff a occhi chiusi. Del tipo: voi ci date i rosari, le croci e le candeline profumate? Noi vi versiamo la lava dell’inferno sulla schiena. Perché il disco è fatto un po’ così: nasce semplice e basico con un riff x che è l’equivalente del primo ascolto in casa Sabbath per quanto è classico e poi esplode anarchico e opprimente.
I movimenti del disco garantiscono mutazioni continue e graduali della cosa e le variazioni che dilatano lo sfondo sonoro offrono gli spunti per una botta sempre crescente. Ogni sblocco tra un movimento e l’altro è concepito come una fase alchemica della sublimazione dell’oro.
Ideale per i pomeriggi autunnali in casa del tuo amico a giocare alla gioventù persa.
Ciao.
filologia psichedelica mi ha stroncato.
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poi te lo comprasti il vinile?
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no perché non sono più passato a Milano e sono troppo barbone per permettermi delle spese di spedizione. “La prossima volta giuro che lo prendo” (cit)
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