Quando il titolo è la recensione: MESHUGGAH – Immutable

Quando, prima di iniziare a scrivere questa recensione, chiesi ai miei esimi colleghi cosa ne pensassero dell’ultimo album dei Meshuggah, la risposta quasi unanime è stata che non lo avevano ascoltato perché tanto da dopo Chaosphere non ne vale più la pena. In effetti, coerentemente, su queste pagine non si è mai parlato delle loro nuove uscite, se si escludono Alive e Pitch Black, rispettivamente del 2010 e del 2013.

Le malelingue penseranno subito che questo sia il classico atteggiamento da Metal Skunk, che parla sempre bene dei primi album e male di quelli successivi – una sorta di applicazione del teorema degli Ulver, forse? Ma è innegabile che, dopo la spinta propulsiva e innovativa di Destroy Erase Improve e Chaosphere e a partire da Nothing (qualcuno si è mai ascoltato più di una volta il debutto?), il gruppo svedese abbia trovato una sonorità che gli è più congeniale e comoda e che si sia adagiato sugli allori, come si suol dire. Io personalmente non condivido in toto questa opinione poiché riesco a trovare anche un malsano gusto nell’ascoltare Catch Thirtythree e obZen, sebbene per motivi opposti. Il primo mantiene le atmosfere e le sonorità claustrofobiche di sempre pur inserendole in una struttura da concept album prog, non perdendo peraltro i suoni malati di Fredrik Thordendal; forse qualche arpeggino di troppo a diluire il brodo, ma la durata rimane comunque limitata e la coppia composta da In Death – Is Life e In Death – Is Death, insieme a Shed e Dehumanization, vale tutto l’album. Il secondo, invece, riesce a trovare una dimensione quasi commerciale, con tracce più dirette e meno cervellotiche; un perfetto punto d’incontro tra la complessità che era tipica delle loro composizioni e una sorta di orecchiabilità funzionale al fomento che in teoria doveva caratterizzare il genere degli esordi.

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Immutable, invece, oltre a essere il titolo del loro nuovo album, è, banalmente, anche l’aggettivo che lo può descrivere al meglio. Gli album successivi a obZen, Koloss e The Violent Sleep of Reason, provavano a proseguire il discorso interrotto nel 2008, recuperandone gli stilemi e le strutture più semplici. Tuttavia, i passaggi memorabili erano molto pochi e immersi in un mare di nulla e noia. Da parte sua, Immutable sembra cercare una sintesi tra obZen e Catch Thirtythree, laddove i riff non sono intricati come nel secondo ma al contempo cerca di recuperarne la struttura più rarefatta e progressive. Soltanto che progressive (nel senso più ampio del termine) non dovrebbe significare semplicemente tanti arpeggi e canzoni lunghissime e interminabili. E, soprattutto, è molto triste che gli assoli fuori dal comune di Fredrik Thordendal si siano trasformati in arpeggini monotoni sopra a tappeti di chitarre a otto corde ancora più monotoni, come nei peggiori Periphery. Il risultato è che l’album ci mette molto a decollare, quando lo fa non prende quote troppo alte e comincia ad annoiare molto presto, considerando anche la durata che supera l’ora – quando Catch Thirtythree superava di poco i quarantacinque minuti.

Immutable si fa anche lasciare ascoltare e, nonostante i richiami alle apocalissi robotiche, non siamo ai pessimi livelli degli ultimi album dei Fear Factory, a cui pure sono stati accostati lungo il corso della loro carriera – soprattutto perché, fortunatamente, Jens Kidman e sodali non raggiungono i livelli di ridicolaggine di Dino Cazares. La sensazione è che, se già con le due uscite precedenti poteva sorgerne il dubbio, con quest’ultima pubblicazione i Meshuggah siano diventati definitivamente prigionieri di loro stessi e di ciò che hanno creato: il djent. (Edoardo Giardina)

2 commenti

  • Il debutto, Contraddiction Collapse, è praticamente And Justice For All parte 2.

    Piace a 1 persona

  • Io sinceramente mi domando come sia possibile che possa piacere sta roba… cioè ascoltare musica dovrebbe in qualche maniera procurare un emozione, di qualsiasi tipo. Ma questa che emozioni dovrebbe evocare?! boh io sicuramente sono limitato e concepisco la musica come “altra cosa” però proprio non me ne capacito.
    E ci ho provato, sul serio, cercando di capire cosa potesse spingere una persona sana di mente ad ascoltare un album intero di questo chugga chugga senza senso.

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