Figli di un Dio minore: TONY MARTIN – Thorns

Nella categoria dei “nati per essere il numero due”, Tony Martin è in nobile compagnia. E se è comunque raro incontrare qualcuno che preferisca Di’Anno a Dickinson (io, ad esempio) od Owens ad Halford (no, non esiste chi preferisce veramente Bayley), nessuno nel pieno delle proprie facoltà mentali può preferire Martin a Dio (e nessuno si azzardi mai a definire Dio rimpiazzo o numero due). Eppure Martin nutre generalmente di stima e apprezzamento decisamente elevati. Meritatissimi. Batte sicuro per distacco un Doogie White, uno che si è confrontato con la stessa eredità dell’elfo italo-americano nel tentativo di fare il massaggio cardiaco ad una band leggendaria. Solo che a Martin l’operazione riuscì ed ebbe un ruolo da protagonista nell’ultimo periodo veramente significativo dei Sabbath. Cantando da Dio, inciso. Scusate il gioco di parole. Avesse avuto un seguito poi il suo flirt coi Candlemass, chissà di che staremmo parlando ora. Solo che il nostro Martin è il destino che lo relega per secondo. È persino omonimo di un vecchio attore e crooner più famoso di lui, per cui se cerchi su internet spesso trovi l’altro.

Bene, il nostro Tony Martin (da qui in avanti: il Bandana) si rifà vivo a inizio anno con questo Thorns e, che vi devo dire, non me l’aspettavo. Anzi all’inizio, ai primi ascolti, ero anche davvero esaltato. Sentite come inizia: As The World Burns, heavy power moderno e tanto, tanto cazzuto. Una leccornia vera. Tanta grazia non me l’aspettavo mica. Poi Black Widow Angel inizialmente fa la sua porca figura. Non ci fosse stato un assolo osceno di basso a smorzare gli entusiasmi. Forse, in realtà, anche il ritornello stucca. Comunque qua il suono va già verso una forma leggera di groove metal. E allora, ecco, consideri che siamo nel 2022 e che per far suonare moderno un disco qualcuno scopiazzi il suono dei Pantera. Ti sale la tenerezza, a pensarci, ti viene voglia di abbracciarlo. Ma si tratta di un peccato veniale, come certi passaggi strumentali sfacciatamente alla Tool. Anzi, dove si mena almeno un po’ nel disco l’effetto ci sta. Tipo nel ‘Purple vs Dimebag Darrell in No Shame At All. Divertente. Oppure, meglio ancora, nel grunge panteroso di Passion Killer. Che pare un po’ gli Anthrax quando cercavano strade nuove con John Bush. Uno poi che per inciso non è numero due di nessuno, sicuro non di certi gallinacei, ma che comunque non è forse mai stato numero uno per davvero come meritava. Con un amico avevo un gioco: nominavamo un disco, una canzone di grandi gruppi e li immaginavamo cantati da Bush. Se avete una buona immaginazione, occhio, è un gioco che può provocare orgasmi uditivi.

Ma torniamo a Martin e a questo Thorns, non mettiamolo in secondo piano, che non lo merita. Passion Killer, dicevo, è proprio un bel pezzo. E pure Run with the Devil che dal titolo ti fa dire nientepopodimeno. Ma Thorns ha anche un rovescio della medaglia, kitsch di primissimo livello. Come nei cori ecclesiastici posticci e fatti col synth in Book of Shadows, o nelle trombette fatte sempre col synth in Damned by You. Crying Wolf è il pezzo acustico gitano pensato apposta per rubare il cuore delle sessantenni divorziate radunate sotto al palco. La conclusione, poi. This Is Your Damnation è un altro brano acustico. Il genere non saprei definirlo. Qualcosa tipo il jingle della pubblicità di un prodotto finanziario “per te e la tua famiglia”. O alla Rodrigo y Gabriela, notòri guilty pleasure del nostro inviato in Toscana. Il Bandana ci canta in una specie di crooning confidenziale e ne ha per tutti, l’odio, il terrorismo, il Covid (pioggia di reggiseni sul palco). Poi c’è Thorns, l’omonima, ballata strapputande di quelle che non si usa più, se non per parodia. C’è pure la collaborazione di una pantera vera, la Pamela Moore di Suite Sister Mary. Mica l’unica collaborazione nobile, tra i musicisti c’è gente dei Venom (di una qualche incarnazione) e degli Hammerfall. Tutti fanno il loro. E Martin, soprattutto, di smalto come cantante ne ha perso davvero pochissimo. Il risultato, disomogeneo, dipende dalle vostre aspettative. Se basse, bassissime, ve lo dico: rischiate di divertirvi. Sia coi pezzi più hard che con gli sconfinamenti (meglio dire invasioni su larga scala) nei territori del cattivo gusto. Chiaro che noi avremmo preferito che avesse distolto l’altro Tony dal suo recente seppur nobile interesse per la profumeria. Che fosse entrato in forza in qualche altra band solida e leggendaria a dispensare classe (che ha, ancora). Oppure per lo meno che avesse raccolto attorno a sé in uno studio sulle coste della Northumbria un manipolo di veterani heavy per dare forma ad un piccolo capolavoro doom minore. Che ci regalasse un po’ della magia di una When Death Calls. Ma Thorns va preso per quello che è, alla fine è divertente. E poi, dai, gliela dobbiamo anche un bel po’ di riconoscenza (ed indulgenza), ad uno come lui. (Lorenzo Centini)

One comment

  • Uuuhh, ma che cattiveria però! Non se la merita, dai.
    E moderno no, perché ricorda i Pantera e la ballad no perché sa di parodia; e lo spoken sa di pubblicità… Ma quindi, ‘sto cristiano che avrebbe dovuto scrivere per essere un musicista Giusto?
    A me il disco è piaciuto molto, con tutti gli episodi un po’ deboli che può avere un disco metal pubblicato nel 2022 e pure da un sessantenne che continua ad avere una voce incredibile. E chiaro che non è un disco che darei ad uno che non sa cosa è il metal, ma lo consiglierei più di Virtual XI o Final Frontier…o Hardwired dei Metallica.
    Comunque, se il mio inglese non impeccabile non mi ha ingannato, da una sua intervista ho capito che il coro di Book of Shadow è un coro reale, altro che posticcio.
    Onore infinito a Tony.

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