Ti coddiri: A PALE HORSE NAMED DEATH – Infernum in Terra

Quando vennero fuori gli A Pale Horse Named Death, Peter Steele era appena morto e alcuni azzardarono che, un giorno, avremmo potuto definirli i nuovi Type 0 Negative. Portai pazienza, giacché la ferita era troppo aperta per trarre delle conclusioni, positive o negative che fossero. Dieci anni dopo, credo d’aver dato sufficiente tempo alla band di Sal Abruscato (che fu dietro le pelli anche nei Life of Agony) da poter stilare un quadro generale. Gli album in studio sono oramai quattro, i primi due belli tosti e con qualche ottimo singolo radiofonico nel mezzo, tipo Shallow Grave. Il terzo applicava sottobanco gli Alice in Chains al doom metal, ai Type 0 Negative e a certe cose dei Paradise Lost della “rinascita”. In qualche maniera ho sperato che alla quarta pubblicazione sarebbe fuoriuscito quel coraggio, quella volontà di svoltare che ti permette di fare il botto.Mettete la freccia, accentuate la componente rock come nei Novanta fecero i Katatonia e tanti altri, puntate ai migliori singoli che siete in grado di ottenere. Fate che di Shallow Grave non ve ne sia una, ma quattro o cinque, e fate che l’album se lo ricordino tutti.
Niente da fare.
L’album è anche stavolta di buona fattura e palesa da subito un leggero appesantimento del suono. È come se, volendo mantenere gli atteggiamenti ruffiani straripati in When The World Becomes Undone, s’intendesse riprendere il vecchio discorso. I Type 0 Negative sono infatti leggermente più presenti.
A dire il vero di citazioni ed influenze dirette ce ne sono un bel po’. Shards of Glass si apre con una di quelle melodie forti care ai Sentenced e una linea vocale che pare disegnata a immagine di Ozzy Osbourne. Devil’s Dead si rifà apertamente a Danzig. Slave to the Master tira dentro il Marylin Manson più acido e settantiano ed è l’unico brano sottotono, una variazione sul tema non riuscita a dovere. I possibili singoli stanno tutti nella prima metà e nella grandiosa chiusura offerta da Reflections of the Dead, forse il pezzo più riuscito del lotto. In ogni caso, Infernum in Terra è un sensibile passo indietro rispetto all’uscita del 2019.
Agli A Pale Horse Named Death mancano due cose. La prima è il coraggio, quel coraggio che un quarto di secolo fa portava anche i gruppi metal a inseguire il successo commerciale, ibridando ingredienti all’apparenza rischiosi. La seconda è una figura carismatica, che né il Sal Abruscato polistrumentista e ideatore del progetto né tantomeno l’ordinario Sal Abruscato cantante riescono a essere. Non avere un cantante con la C maiuscola e disporre di ritornelli meravigliosi è di base un concetto insostenibile.
Il piatto forte è l’accoppiata di chitarre formata da Taylor e Heedles, abili nel colmare il vuoto lasciato anni or sono da Matt Brown alla sei corde (meravigliosa la parte solista in Two Headed Snakes). Ma qua dentro non c’è un fuoriclasse, quell0elemento che, a un certo punto, ti porta a svoltare e a confezionare un disco che si distingua dagli altri, perché si è seguito un logico percorso di maturazione artistica o perché non ci si è accontentati. Avrei preteso una certa crescita e un certo dinamismo in dieci anni di onorata carriera.
E prendetevi un produttore a modo, ora che avete trovato perlomeno il coraggio di smetterla coi cavalli morti in copertina. Sal Abruscato, caro Sal Abruscato, che componi, canti e suoni la chitarra e ti gingilli al mixer dal 2011 dando sempre quel suono lì ai dischi: datti una calmata, fai il tuo, apri una Coca Cola e guarda Squid Game. Ma non fare ogni maledetta cosa. Se però vuoi passare a darmi un’occhiata allo scaldabagno, io domattina ci sono… (Marco Belardi)
Disco carino ma estremamente piatto.
Sembra di ascoltare una singola canzone che va avanti ad oltranza.
Tutto molto simile a se stesso, senza bassi, ma soprattutto senza picchi di nessun genere.
Che fosse un’evoluzione sonora, stilistica o anche solo di intenti, qui non si vede nulla.
Fatico a collocarlo nel resto della loro carriera, non avendoli mai troppo considerati, ma anche a sé stante, è parecchio fermo come disco.
Oggettivamente, mi aspettavo di più.
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Hai detto cavallo?
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