Italians doom it better: SATYRUS – Rites

Ancora in vena per i recuperi di gemme che a me erano sfuggite, e forse pure a voi, sono incappato in questa bella sorpresa che è Rites dei palermitani Satyrus. Che in realtà è una ristampa ad opera della benemerita Argonauta Records, essendo uscito originariamente come autoproduzione a inizio marzo 2020 (ottima tempistica). Opinione mia (quindi opinabile): il panorama doom è generalmente afflitto dalle decine di cloni di Electric Wizard e Sleep da ogni dove, come era quindici anni fa con le copie dei Kyuss. Ovviamente il mio non è un giudizio critico sui modelli che ho citato, che anzi sono tra le mie band preferite. Ma al decimo disco perfettamente identico al canone, diciamolo, ti rompi le palle. Sono ancora più onesto: al decimo non ci arrivo nemmeno e ormai se sento quel tipo di riff posto all’inizio di un disco spengo subito. Il rischio che si corre poi è di buttare via il bambino con l’acqua sporca.
In più, visti i tempi, ad una band italiana do sempre maggiore attenzione. Vuoi un po’ per campanilismo, ma soprattutto perché, dopo Messa (che stanno registrando o hanno registrato il terzo album e ce li ritroveremo presto pubblicati dalla Svart), Haunted, 1782, Black Capricorn e, vedrete presto, i Tenebra (su New Heavy Sounds), certi suoni ai nostri compatrioti, giovanissimi o meno, stanno riuscendo particolarmente bene e con una personalità che non si trova sempre in altri lidi. Come fu (ma quelli furono exploit forse mai più ripetibili) con il prog, l’hardcore ed il suono gotico italiano. Che poi sono tutti elementi che nel panorama doom contemporaneo arricchirebbero non poco la gamma di possibilità. Ma in realtà, per ora, i Satyrus non avrebbero bisogno di aggiungere troppi elementi ad una formula che è già piuttosto personale e compiuta: questo è il loro esordio, ma loro non sono proprio gli ultimi arrivati, dato che due o tre di loro viaggiano sulla cinquantina e hanno militato in altre band estreme del palermitano. Niente però sapevo di loro prima di aver ascoltato Rites.

Si comincia con Black Satyrus, la quale, dopo un’intro di cori simil-ecclesiastici da cripta (eddaje), parte con un riffone marcio che fa tanto Jus Oborn, così come, ad una prima impressione, anche la voce. Bene, appunto: credevo di essermi trovato alle prese con l’ennesima band clone (anche se però da subito l’impressione era che questi qui ci sapessero fare…). Felicissimo di essermi sbagliato, perché bisogna dargli il tempo di entrare nel dunque, rendersi conto con sorpresa che appare un basso enorme e distortissimo che comincia a girarti attorno come un’animale che ha fiutato la preda. E poi si finisce in un calderone infernale in cui la voce si fa epica e senza speranza, mentre le chitarre assumono una frenesia black metal. Nemmeno forse il brano migliore dei cinque.
Dalla successiva Shovel i toni si fanno ancora più epici, doomici e metallici, con la voce tormentata di Gianni Passafiume che dimostra di essere decisamente a proprio agio tra le correnti dello Stige e ad evocare senza troppi complessi i maestri del genere (parlo dei Candlemass, ovvio). Ma andando avanti, anche una bella dimensione quasi stoner, negli assoli (oh, io ci sento Kim Thayl) o in momenti più space oriented, come in Stigma o nella finale Trailblazer (appunto, a tratti quasi persino grunge, di quello buono e oscuro). Insomma, non ci vuole essere dei completisti per lasciarsi coinvolgere da Rites. Sicuramente tra le uscite doom migliori dell’anno… 2020 o 2021, non so, dipende dalle regole delle poll di fine anno. (Lorenzo Centini)