RATM e Cypress Hill – A Los Angeles si chiude il cerchio

Due album in qualche maniera celebrativi fanno da sigillo alla chiusura del decennio precedente per due gruppi dalle storie talmente parallele che poi finiranno molti anni dopo per confluire in un unico progetto (Prophets of Rage, di cui da qualche parte si era parlato, abbastanza inutili). Sia i Rage Against The Machine che i Cypress Hill sono di Los Angeles e i rispettivi album di esordio escono a non molto tempo di distanza. Il periodo è quello che vede le immagini del pestaggio di Rodney King e le successive sommosse scorrere sui teleschermi, una serie eventi che infatti si ritrova in vari punti nei rispettivi dischi di esordio. Il successo è per entrambi immediato, uno stile meticcio come i protagonisti con il rap come elemento centrale ma in entrambi casi contaminato o contaminante, e per questo capace di fare da ponte fra linguaggi e pubblici differenti. Alla fine del decennio la novità della fusione di stili è stata abbondantemente sfruttata, il crossover è un filone finito dal punto sia stilistico che concettuale e comincia già a puzzare di morto, ma entrambi i gruppi hanno ancora cose da dire.
Renegades esce postumo, i RATM sono già un ex gruppo e le premesse sono pessime: un disco di cover, per di più licenziato giusto in tempo uscire per finire sotto l’albero di natale sa della peggior operazione commerciale e, oltre ad essere qualcosa di molto poco barricadero, sembra destinato a chiudere in maniera indegna la storia di quella che comunque resta fra le band più definitive del decennio che si era appena concluso.
In realtà e senza la minima esagerazione, Renegades è l’unica altra cosa oltre al primo (che resta di una categoria a sé) che sia davvero necessario avere del gruppo. Questo nonostante i RATM fossero una di quelle band che avevano tutto quello che serve: stile inconfondibile e realmente figlio del proprio tempo, una botta incredibile dal vivo eccetera. Avevano però anche un problema insormontabile: erano capaci di scrivere una sola canzone. Sempre la stessa identica. E quindi o le imbrocchi tutte (come appunto nell’album del 1992) o rischi di diventare una costante delusione, soprattutto quando hai fissato uno standard così alto e dopo non ci sei andato vicino manco per sbaglio. In Renegades il confrontarsi con un repertorio altrui permette loro di superare i propri limiti di scrittura e farli uscire dall’unico schema che sembrava a loro concesso (strofa/ritornello slogan/sbroccata finale). Nel suonare roba scritta da altri Morello e compagni vengono in qualche maniera liberati e si possono permettere di provare cose che altrimenti non avrebbero mai fatto o concepito, dall’HC vero e proprio dei Minor Threat a una parentesi quasi acustica concessa da una rivisitazione molto personale di Beautiful World dei Devo.
La scelta dei pezzi è perfetta nel suo essere un riassunto delle loro ovvie influenze (rock ’70 e rap in primo luogo – tra cui gli stessi Cypress Hill con How I Could I Just Kill A Man) e seguendo il filo conduttore del discorso politico che li ha caratterizzati fin dal primo momento. Sul loro essere delle rockstar e contemporaneamente alfieri del proletariato ci si potrebbe scrivere una tesi di laurea, è ovviamente un discorso ricco di contraddizioni che parte da molto lontano (come la selezione di artisti di questo album ci ricorda) e necessiterebbe di un’analisi un minimo approfondita, e quindi il criticarli come venduti o falsi solo perché in una foto si bevono una Coca Cola la trovo una cosa da gente che non ha il pollice opponibile. Renegades non sbaglia un colpo e se, come già accennato, la bellezza è anche nella didascalica descrizione degli elementi che hanno poi definito il loro sound, in altri casi le rivisitazioni proposte hanno qualcosa di clamoroso non solo nei confronti della band ma anche dei brani originali. I quattro pezzi finali (Springsteen, Stooges, Stones e Dylan) sono quattro ceffoni in faccia a chi fin dal primo momento ha frettolosamente derubricato la band a semplice novità e moda del momento. Mettici pure in copertina la rivisitazione del LOVE di Robert Indiana e un bellissimo artwork interno ed ecco che Renegades resta uno dei migliori album di cover mai concepiti e fatti.
Per il disco dal vivo dei Cypress Hill, e il suo essere testimonianza di un altro lato del gruppo, si possono fare ragionamenti simili, pur essendo le premesse totalmente opposte. Se per i RATM la mutazione in avanti viene da uno sguardo al passato di altri, i Cypress Hill in questo album vanno a ridefinire se stessi reinterpretando i propri brani in maniera differente. Live at the Fillmore, con la scusa dell’album dal vivo, porta a compimento l’idea dietro Skull & Bones in maniera molto migliore del disco in studio di pochi mesi prima. Questo avviene perché, banalmente, i pezzi contenuti sono molto più belli: la scaletta del concerto di San Francisco è tutti gli effetti un vero best of contenente tutti i loro classici (soprattutto dai primi due, i migliori) e qualche altra scelta mirata dal repertorio successivo (Looking Through the Eyes of a Pig su tutte). La band è affiancata da veri/vari musicisti (provenienti in buona parte dagli SX-10, gruppo parallelo di Sen Dog) e il suono, rispetto a quello che si può fare con il solo dj, è molto più grosso ed ha una pompa che altrimenti non sarebbero stati capaci di ottenere. Non amo granché i live, ma qui ci sono dei momenti di sbrocco assoluto (oltre a quintalate di erba) e la registrazione ti dà veramente l’idea di una serata infuocata di quelle che al momento ci sogniamo la notte.
Rage Against The Machine e Cypress Hill nel 2000 chiudono il cerchio, lo fanno nel migliore dei modi ma restano casi isolati all’interno di un contesto per altri versi divenuto desolante. Per fortuna con questa storia dell’ibridazione di stili eravamo veramente alla fine, meglio così e che non se ne parli più. (Stefano Greco)
Mi associo ai complimenti per Renegades. Io cmq, come già detto l’anno scorso in occasione del ventennale, trovo il terzo RATM il migliore o cmq il mio preferito. Meno “sentito” forse rispetto al primo, ma spacca.
Cypress Hill mai cagati
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