Avere vent’anni: RAGE AGAINST THE MACHINE – Battle of Los Angeles

In qualità di ultimo album dei Rage Against The Machine prima delle cover incluse in Renegades, di Battle of Los Angeles ricordo di averlo ascoltato una volta per poi abbandonarlo a un sacco di polvere. Qualche anno fa, a causa dello stesso impulso – tipico della nullafacenza estiva – che mi costrinse a suicidarmi con i Pearl Jam, decidetti di ritornare sulla loro intera discografia. Il compito consisteva nel dover rimettere su qualcosa come tre dischi, niente di così logorante o scoraggiante, e così sono partito. Tre dischi che non erano neanche tanto lunghi, un buon motivo per ringraziare in partenza Tom Morello.

Per me i Rage Against The Machine si traducono nella sigla finale di Matrix e in serate da sbronzo presso una discoteca rock che aprirono alle Cascine, a Firenze, e che ora non esiste più. Si chiamava Alter Nite se ricordo bene. Ogni sera passavano Killing in the Name: impossibile non constatare in che maniera, e in che proporzioni, quel pezzo portasse letteralmente via tutto quanto. Era una deflagrazione, tutto il primo album lo era, e ogni colpo della cassa di Brad Wilk si traduceva in una lezione fisica per le orecchie. Un album perfetto: da Bombtrack in poi conto in esso almeno cinque pezzi a dir poco fantastici. Ripassandomi la breve discografia dei Rage Against The Machine annoto poi che Evil Empire ha dei suoni davvero ben realizzati, il cui perno è ancora una volta quel martello da fabbro – montato al posto del battente – con cui Brad Wilk martorizzava la cassa. Due singoli incredibili aprono le danze, People of the Sun e Bulls on Parade. L’album non ha più niente da dire, è possibile? Sì che è possibile. Ho bisogno di mettere a fuoco come andò nel 1999, a questo punto. Perché Battle of Los Angeles non fece presa? Altri due singoli e stop? La realtà, per fortuna del sottoscritto, è leggermente diversa.

L’ultimo album di inediti dei Rage Against The Machine, in attesa di capire come si svilupperà l’intera questione legata alla loro reunion, ha un carattere più definito rispetto al precedente. Brad Wilk serve maggiormente la canzone, con un rullante di quelli che avrebbero fatto venire brutte idee in testa a Lars Ulrich qualche anno più tardi. La sezione ritmica stavolta fa leva sul basso di Tim Commerford, sul quale si staglia un Tom Morello in totale stato di grazia. Un pezzo assolutamente nella media come Mic Check finisci per godertelo giusto per ammirare quel che hanno deciso di imbastire a livello di arrangiamenti. Al singolo a cui ho sempre ricollegato questo titolo (una Testify non mi ha mai fatto strappare i capelli dalla testa) preferisco i restanti, specialmente Calm like a BombSleep Now in the Fire. Quest’ultima ha un gusto così radiofonico che sembra voler spoilerare qualcosa dal futuro, ovvero dagli Audioslave. Guerrilla Radio è parecchio famosa pure lei, dopodiché si arriva alla seconda metà del disco, quella che mi mette una paura quasi invalidante. Un po’ meglio di Evil Empire, un bel po’ meglio. Il disco è più cupo, sentito e arrabbiato del precedente, che in sostanza vedeva i Rage Against The Machine crogiolarsi nel proprio status acquisito di band di punta che ha successo, e che quindi non ha tempo da perdere per migliorare anche ciò che non finirà affatto alla televisione. Battle Of Los Angeles è in definitiva un buon disco, nonostante possa soltanto allacciare le scarpe al primo del 1992. Ma è comunque un bel disco, e quindi bentornato, a tutto volume. (Marco Belardi)

2 commenti

  • È sempre stato il mio preferito, anche se effettivamente l’urgenza espressiva è minore rispetto al primo. E forse proprio per le ragioni che dici tu: più rabbia, approccio più meditato. E il riff di Calm Like A Bomb, che demolisce muri ora come allora. Bel recupero, magari scontato ma pur sempre necessario.

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