Sveglia il morto: American Metal edition

Cari amici guerrieri del metallo, è passato un po’ di tempo dall’ultima volta, ma ecco ritornare la rubrica preferita di quella parte di lettori che del nuovo dei Rammstein se ne sbattono il cazzo, disprezzano e hanno sempre disprezzato gli Slipknot e che pensano che il nuovo dei Tool sarà sicuramente buono per pareggiare le gambe della sedia che traballa. Per questa puntata afferrate lo spadone ma non dimenticate la bomboletta di Aquanet (o un’italianissima Gommina Simmons se preferite), perché si torna diritti negli anni Ottanta (wow che novità), senza i quali tutto il power o epic metal recente con doppie casse a trenino non esisterebbe.

Quando qui parliamo di power o epic metal lo facciamo principalmente chiamando in causa crauti e salsicce, ma ricordiamoci che in America c’era una scena fertile già da un decennio prima del famoso revival tardo-novantiano, e che non fu solo Riot, Lizzy Borden o Metal Church, ma ha partorito anche roba come Vicious Rumors, Omen, Savage Grace e altri.

Ecco appunto alcuni fulgidissimi esempi che non possono mancare nella vostra collezione, sennò tornate pure a sentire i Children of Bodom e divertitevi.

Iniziamo dai SAVAGE GRACE, che almeno due dischi fondamentali per la scena li hanno fatti, e parlo di The Dominatress e soprattutto del bestiale Master of Disguise, un disco che fa del power più frenetico un’arma vincente e che non finisce mai di coinvolgere nemmeno a decenni di distanza, spazzando via qualunque cosa si frapponga. Basta l’intro Lions Roar a creare la giusta tensione, e la successiva Bound to be Free a far capire l’antifona. Mi dispiace ma qua non c’è proprio storia. Palla di fuoco a tremila gradi. Se poi aggiungiamo che da una loro costola sono nati gli Omen, capirete di cosa sto parlando. Gli Omen sono semplicemente il gruppo più fottutamente epico degli anni Ottanta. Gli Omen sono una cosa seria, e Battle Cry mozza teste su ceppi di legno di quercia come se non ci fosse un domani. Villaggi bruciati da assatanati predoni, damigelle in cerca di barbarico cazzo e urla di battaglia echeggiano in poco più di mezz’ora di riffoni, ritmiche serrate e la feroce interpretazione del compianto J.D. Kimball, con la sua voce roca e potente.

Se poi non vi accontentate del power metal epico degli Omen ma ne volete ancora, andate pure a rispolverare i GRIFFIN, che con Flight of the Griffin e il successivo, ancora più veloce e potente Protectors of the Lair, vi passeranno a fil di spada con il loro speed metal d’altri tempi, direttamente dalla Bay Area. Soprattutto, dicevo, su Protectors, dove a tratti si rifanno anche ad un altro classico speed metal americano, ovvero l’essenziale Skeptics Apocalypse degli Agent Steel, con quei pezzi frenetici suonati a duecento all’ora. Classici sottovalutati in tipico stile Shrapnel Records, e chi è appassionato di un certo suono americano degli anni Ottanta sa di cosa parlo. Dio benedica il buon Mike Varney, scopritore e lanciatore di talenti. Talento che di certo non mancava agli Heir Apparent, che con il loro Graceful Inheritance, del 1986, dimostrano una certa classe ed eleganza nel proporre temi tipicamente “swashbuckle” in una sorta di epic metal in salsa Queensryche. Non a caso provengono da Seattle. Graceful Inheritance concentra in tre quarti d’ora molti dei temi e delle sonorità care alla francese Black Dragon Records e alla Leviathan del buon David Chastain, che ai tempi si lanciò nella promozione dell’etichetta transalpina negli Stati Uniti con la sua distro. Andate a spulciare il catalogo di questi due nomi per scoprirne di più, e magari ritrovare alcuni nomi importantissimi come Manilla Road, Candlemass e Chastain, appunto.

David T. Chastain, il sire del power metal americano

E magari pensavate che i Running Wild fossero gli unici ad occuparsi di pirati e cose cosi? Vi sbagliavate. Per chi vuole risentire quelle esclamazioni tipiche come “arrrrrrrr” e “corpo di mille balene”, ma con accento yankee, ci sono i DAMMAJ, che direttamente dalla baia di San Francisco solcano i sette mari armati di un metallo fragoroso con dei bei suoni cupi e classica voce potente e su di giri. In copertina del loro unico album Mutiny troverete un pirata con la benda che brandisce una chitarra sotto un temporale. Vedete voi se non è abbastanza. Canonico power/heavy ma sempre stellare, se paragonato ad oggi o anche alla satura scena della fine degli anni Novanta.

E veniamo ora ad uno dei nomi che sicuramente vi saranno più noti, ovvero i VICIOUS RUMORS. La band di Geoff Thorpe, attivissima ancora oggi, non è esattamente un morto da svegliare, ed ha visto alcuni dei più grossi talenti del metal anni Ottanta passare sotto il suo vessillo: gente come Vinnie Moore e Carl Albert, per intenderci. Musicisti dalle doti straordinarie che hanno lasciato il marchio su dischi come Soldiers of the Night il primo, e Digital Dictators il secondo. Due dischi che sono anche i migliori di una carriera costellata di bellissimi lavori, almeno fino all’inizio degli anni Novanta. Risultato notevole se si pensa alla drammatica caduta che il genere ebbe proprio in quegli anni. I VR restano comunque uno dei gruppi “minori” che sono riusciti ad azzeccare almeno quattro album di fila, cosa non facile per nessuno. Soldiers of the Night è “varneyiano” nel suo svolgersi, in quanto ricco di spunti speed/power con il funambolo Vinnie Moore a mettere la ciliegina sulla torta con alcuni dei suoi assoli più belli di sempre, paradigmatico del fare un certo tipo di metal dagli Steeler in poi. Su Digital Dictator venne poi sostituito, assieme al primo cantante Gary St. Pierre, e al suo posto troviamo Mark McGhee, che formò un duo formidabile con lo stesso Geoff Thorpe alle chitarre, mentre dietro al microfono un ulteriore salto di qualità venne fatto grazie all’ingaggio del formidabile Carl Albert (defunto poi nel 1995 dopo un tragico incidente stradale). Entrambi i dischi sono esattamente l’incarnazione del meglio che il metal potente e veloce avesse da proporre in America.

E chiudiamo con un’altra perla dimenticata, ovvero The High’n Mighty dei californiani COMMANDER, tre quarti d’ora di cappa e spada che scorrono al suono di un consueto power/epic metal d’antan, che è sempre un piacevole sentire tra acuti, lunghi assoli e qualche tastiera che fa capolino qua e là, ma sempre in maniera funzionale al racconto, farcito di spadoni, draghi, maghi e tutto l’ambaradan assai comune nell’heavy metal di un tempo. C’è anche una cover ben eseguita di Kill the King dei Rainbow, ad omaggiare appunto colui che più di ogni altro ha contribuito a creare questo tipo di immaginario nel metal, e che non penso ci sia bisogno di nominare. Il disco culmina poi nella lunga e suggestiva Die by the Sword, in cui viene fuori tutta la vena epica dei Commander. Bella. Se proprio vogliamo fare un appunto generale a The High’n Mighty, possiamo dire che Jon Natisch, cui sono affidati i compiti vocali, si esprime meglio su tonalità più moderate, e quando vuole strafare diventa un po’ sguaiato. Ma l’ispirazione qua c’è eccome.

Per oggi è tutto ma tornerò sicuramente sull’argomento. E sappiate che sono convinto che il cuore del metallo a stelle e strisce batta ancora, sotto la coltre di merda hip hop che ci intossica oggi e che ormai è l’unico genere veramente di successo oltreoceano. Teniamo d’occhio Bandcamp, però, perché le sorprese sono sempre in agguato. E chi sa che non ci sia un altro “colpo di stato” metallaro nei prossimi anni, proprio come avvenne quel giorno in cui Metal Health dei Quiet Riot iniziò prepotente a scalare le classifiche, legittimando anche commercialmente un decennio di grande musica e creatività. Io ci spero sempre. Ma forse sono decisamente ottimista, o troppo innamorato del metallo da non vedere la triste realtà. (Piero Tola)

3 commenti

  • “quella parte di lettori che del nuovo dei Rammstein se ne sbattono il cazzo, disprezzano e hanno sempre disprezzato gli Slipknot e che pensano che il nuovo dei Tool sarà sicuramente buono per pareggiare le gambe della sedia che traballa”

    “Villaggi bruciati da assatanati predoni, damigelle in cerca di barbarico cazzo e urla di battaglia”

    Citazioni da antologia e ottimo articolo, per prendere coscienza di una corrente metal veramente notevole, che tra l’altro rispetto a quella di scuola tedesca si caratterizza per una maggiore serietà e non ha tutti quei ritornelli da filastrocca o da Oktoberfest, se volete.

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  • Grazie per l’articolo, ora come ora ho bisogno come il pane di questa roba, e un paio di buoni spunti sono sempre i benvenuti. Ma anche solo rispolverarmi gli Omen non è male.

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  • Grande Piero. Da aggiungere anche “Steel The Light” dei Q5, che per me è forse il miglior disco del power americano.

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