A Cervia in Peugeot 106: CHILDREN OF BODOM – Hexed
Li avevo lasciati dormienti più o meno in seguito all’uscita di Are You Dead Yet?, come capita a chi si evolve fino ad un certo punto, rimanendo sulla cresta dell’onda e generando con ciò quel senso di attesa che definiamo hype. Sono però sicuro che, oltre il 2005, dei Children Of Bodom non fregasse più niente a nessuno fuorché alla miriade di loro cloni, sparsi per la tundra e la taiga locali alla ricerca di sonorità da ricopiare.
Un’ingiustizia, per me soprattutto, che li ho sempre apprezzati e ritenuti fra i più influenti di quel periodo: un guitar hero antipatico quanto innegabilmente dotato di controcoglioni, un tastierista virtuoso e coi piedi ancorati per terra come Janne Warman, ed un figlio dell’Era della doppia cassa a elicottero come Jaska Raatikainen, apparentemente freddo e lineare e che solo la produzione efficace di Hate Crew Deathroll seppe nel tempo mettere debitamente a risalto. Avevano queste caratteristiche qua, ne fecero sfoggio per un po’, dopodiché entrarono tristemente in pilota automatico nonché nel girone infernale degli album brutti che, prima o poi, quasi tutti finiscono per realizzare. Fortunatamente limitarono la cosa ad un paio di capitoli, Blooddrunk e Relentless Reckless Forever. E poi si sono ripresi.
Da un folle come Alexi Laiho, uno che dopo soli due album vola in Giappone per incidere Tokyo Warhearts disponendo di una manciata di tracce, ti aspetti sempre i fuochi d’artificio. E invece il ritorno dei Children Of Bodom è avvenuto quasi in silenzio, a partire da quell’ Halo Of Blood al quale forse mancava un pizzico di sale. Ma ti faceva anche capire che le cose stavano ritornando sul binario giusto: quel flavour melodico tipico del metal scandinavo, in precedenza messo in disparte a favore di Sixpounder o altre cose più o meno ingiustamente panterizzate, fu affiancato in esso da un’attitudine vagamente estrema, spinta da qualche blast beat e da un approccio forse più spontaneo alla composizione. Halo Of Blood nella sua semplicità è il motivo per cui oggi mi ritrovo ad ascoltare il loro decimo album, Hexed, con un entusiasmo paragonabile a quello di un tempo. Non fosse per lui, probabilmente non avrei fatto molto caso alla sua uscita.
Hexed sta giusto lì, in quel lasso temporale che ci siamo perduti e che avrei preteso a cavallo fra Follow The Reaper e Hate Crew Deathroll. Non è minimamente estremo come invece accadeva al buon I Worship Chaos, che dalla sua vantava un arsenale fatto di buonissimi ritornelli e un sound così ricco da potere accontentare un po’ tutti. Cose che possono far pensare al pilota automatico oppure alla costruzione a tavolino, mentre ora davvero li riconosco, e pretendo che ripartano da questo preciso punto. Per finire dove lo ignoro, ma Hexed fa centro come non ne sembravano capaci da un bel pezzo. La base è il power metal come ai vecchi tempi, c’è una cura per gli arrangiamenti più mirata che in passato e pure la produzione è degna di nota, sebbene la batteria sia la solita batteria odierna, col solito rullante su cui sembrano picchiare proprio tutti. Una sorta di snare drum for rent, non so come spiegarlo.
La prima metà è una bomba, pazzesca l’opener This Road a mettere in chiaro come ai Children Of Bodom di oggi, non occorra la velocità esecutiva per portare a casa buonissimi risultati. Dopodiché non c’è tregua, Under Glass And Clover è la prima ruffianata totale, ed esattamente come Platitudes And Barren Words – per certi versi in debito perfino con i Sentenced – ci riporterà dritti ai tempi di Follow The Reaper. Quest’album non ne replica in toto l’efficacia, ma riprende l’eleganza e il gusto melodico nord-europeo che Alexi Laiho aveva di colpo messo in disparte, quando l’improvviso amore per il groove e l’attitudine anni Novanta, lo stesero con il medesimo effetto di una palata sulla nuca. Inoltre necessita di una certa pazienza per poter essere assimilato al meglio, un po’ come alla sua uscita Follow The Reaper e il suo approccio sfacciatamente classico e melodico, calamitarono non poche critiche. Prendete I Worship Chaos e la sua immediatezza, paraculaggine, voglia di piacervi a tutti i costi: ribaltatela. Ecco Hexed, leggerino in confronto, ma di classe come non li sentivo da tempo.
Glass Houses manda avanti lo stesso discorso alzando il metronomo, dopodiché esce allo scoperto l’Alexi Laiho che esce sulla pedonale per rimorchiare fica con una Peugeot 106 Rally truccata, con dentro un subwoofer che lentamente gli sviterà ogni bullone presente tra motore, carrozzeria e arbre magique. Sì, perché con le tastiere tamarre di Hecate’s Nightmare, apparentemente scippate all’heavy metal maturo della seconda metà degli Ottanta, l’effetto iniziale potrà essere dei peggiori ma finirà per entrarti in testa pure quella. La detesto con tutto me stesso, ma tanto vince lei.
E niente, tolto un finale un po’ più debole del resto, nonché impoverito dal recupero di Knuckle Duster dall’EP Trashed, Lost & Strungout di quindici anni fa, l’album scorre alla bellezza relegando a Kick In A Spleen ed alla title-track i suoi momenti più veloci. La differenza con le accelerazioni di I Worship Chaos, sta nel fatto che i brani di Hexed mantengono una cura maniacale per gli arrangiamenti, portano avanti uno stile più identificabile e che non ammicca a niente di preciso della loro passata discografia. Tranne forse Follow The Reaper.
È il loro nuovo album e suona così, compatto e perfettamente identificabile come quelle cose sulle quali premerai play, riconoscendone all’istante i titoli, il periodo di uscita, e cosa gli passasse per la testa. Una vittoria sotto ogni punto di vista, un capitolo che certamente riascolterò in futuro e che in parte mi riappacifica con questa band, così influente nei primi anni Duemila, e probabilmente colpevole per aver dato i natali a gentaglia d’ogni sorta. I Children Of Bodom sotto una veste più lineare, facilmente assimilabile ma in contemporanea quasi progressiva: un bentornati mi sembra il minimo. (Marco Belardi)
Abbandonati dopo il terzo album, mi farò tentare. Grazie Belardi.
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Ero tentanto anche io nell’acquistare il disco. Il mio ultimo disco dei bambini è stato quel lontano Hate Crew Death Roll.
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Bella Belardi, visto che non me li cagavo da una vita, darò sicuramente un ascolto.
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dategli una chance e tempo, ve lo consiglio. personalmente, il giorno che ho acquistato follow the reaper l’avrei rivenduto. gli mancava quel minimo barlume di oscurità che avevano perfino nel secondo album, era un semplice disco di metal classico, ben rifinito, di stile. un giorno l’ho rimesso su e mi sono reso conto di quanto follow the reaper mi piacesse. hexed è naturalmente inferiore, uscito una marea di anni e dischi dopo, ma ha stoffa. per quel che mi riguarda I worship chaos è un buon metallino estremo preconfezionato, funziona all’istante. questo è un disco di maggiore classe, ma che comunque finisce maluccio (un po’ moscio dall’ottava traccia in poi)
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