Avere vent’anni: SOULFLY – st

Di questo disco possiedo un’edizione speciale in tiratura limitata (compresa di bonus track) in plastica nera, con il loro simbolo stampato in un elegante verde acquamarina, che acquistai nei primissimi giorni di uscita dopo una spasmodica attesa. Pensavo che quest’album sarebbe stato un atto di giustizia verso Max, verso di me e forse verso il mondo intero. La giusta rivincita di un mio eroe adolescenziale nei confronti di uno degli split più ridicoli e insensati della storia che, nonostante determinate indiscutibili cappellate di Roots, mi aveva ingiustamente privato di un pezzo importante del credo personale. Vi confesserò di più: a Max Cavalera, nonostante gli occasionali improperi riservati, non riesco davvero a voler male, figura formativa troppo importante questo ‘metallaro latino credibile’, è stato davvero un modello virile a cui aspirare insieme ai vari Hetfield, Araya e Phil Anselmo. Nonostante Soulfly si sarebbe presto rivelato essere una mezza cacata, il personaggio in questione godeva presso la mia persona di una tale stima che avrei insistito fino a Soulfly IV prima di arrendermi all’evidenza.

Detto questo, il difetto principale di questo esordio non è solo che mancano i pezzi:  il problema vero è che si tratta di un disco realmente antipatico, che poteva essere semplicemente scrauso ma riesce ad essere insopportabile: un album livoroso inciso da un rosicone che non fa nulla per nasconderlo. Che poi di motivi per avercela a morte con gli altri il buon Max ne aveva abbastanza, e anche di validi: era pur sempre il frontman e compositore principale di una delle band più fiche della storia, quindi che fosse bello amareggiato dall’essere stato cacciato dal suo stesso gruppo ci sta eccome. Qui però si esagera, perché il nostro eroe per provare le sue ragioni si appella a tutta una serie di entità superiori che vanno dal karma ai dieci comandamenti fino al Codice di Hammurabi. Un’autoglorificazione continua che passa per l’indottrinamento forzato degli ascoltatori sulle gesta di tal Zumbì (una sorta di Masaniello carioca) di cui Max aspira ad essere riconosciuto come versione moderna e molto metal. Capisco la delusione, però esiste anche la dignità. 

Come se non fosse abbastanza, decide di esagerare praticamente in tutto: dalle onnipresenti robe brazileire ad un numero di ospitate che manco uno show di Rai1 il sabato sera. Un elenco di featuring esagerato (Chino Moreno, Fred Durst e Piero Pelù i più rilevanti) sembra stare lì a certificare che chiunque in ogni parte del mondo è dalla sua parte e implicitamente che quegli altri là sono solo una massa di stronzi. Il suo ego ferito però non lo rende lucido e ancora una volta gli fa mettere insieme un lunghissimo pastrocchione di metallo, tradizione sudamericana e ultime tendenze del nu metal (genere di cui aspira ad essere definito padre spirituale, fino a che cambierà il vento). Oltre settanta minuti di recriminazioni varie di cui si salveranno sì e no due pezzi e un’autocover per un totale di dieci minuti. Ma anche nella merda più nera è possibile scovare un diamante, qui tocca scavare fino alle bonus tracks prima della giusta ricompensa. La pietra preziosa si chiama Cangaceiro (sì proprio quella) e vede il fiorentino dalle basette taglienti in una inedita versione metallissima. I due sono animati dalla stessa rabbia (anche a Pelù era capitato lo stesso destino) e la loro unione è un sublime sputo in faccia a tutti gli usurpatori di questo mondo. Perché se la terra è tonda e se il mare è blu, da che mondo è mondo il forte vince non sei tu, non sei tu, non sei tu, ah-ah. Un insegnamento prezioso da non scordare mai. (Stefano Greco)

oppure, per fare i seri:

3 commenti

  • Max ha voluto distanziarsi dal metallo più tradizionale con tutti sti triccheballacche, salvo poi tornarci con la coda tra le gambe (vedi ultimi modesti Soulfly e i Cavalera Conspiracy).
    I Sepultura hanno dimostrato che in fondo dopo Roots c’era vita e musica pesante.
    Adoro entrambi ma la cricca di Kisser ha retto molto meglio negli anni.

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  • sottoscrivo tutto…del periodo ricordo solo che per qualche motivo non mi ero molto fidato di questo nuovo progetto firmato Max ed il cd evitai di comprarlo, per farmelo poi prestare da un mio amico. Non riuscii a finirlo…e penso di aver provato a sentirlo un altro paio di volte prima di ridarlo indietro senza nemmeno copiarlo su cassetta.

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  • Non ci resta che prendere “Schizophrenia” ed ascoltarlo per l’ennesima volta… “from the past comes the comfort”

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