XXIII AGGLUTINATION @Chiaromonte (PZ) 19.08.2017
È d’obbligo una premessa: avere degli amici alienati, drogati, bizzarri e affetti da disturbo bipolare (per carità, anch’io appartengo all’ultima categoria) non è necessariamente un male e anzi, può essere vantaggioso. Non ne parliamo poi se ci si trova al cospetto dell’appuntamento metallico più importante del Meridione: è risaputo che in determinate occasioni, specie in nome del cameratismo rockettaro, si diventa sani all’improvviso.
L’Agglutination giunge all’appuntamento n° 23, ma l’edizione 2017 la ricorderò anche per un paio di pesanti defezioni: ebbene sì, i forfait del Messicano e dell’irriducibile Trainspotting gridano ancora vendetta. Il perdono non rientra nei miei protocolli, ma ho fatto uno strappo alla regola visto e considerato le cause di forza maggiore che hanno costretto i colossi di cui sopra ad alzare bandiera bianca. Non per fare il gradasso, ma io per questa sagra paesana ho rinunciato persino a visionare le acrobazie dell’onnipotente Mario Mandžukić. Che catastrofe.
La location, per il secondo anno di fila, è la celebre palestra della scuola media di Chiaromonte. La partenza da Lecce è posticipata di circa due ore per “colpa” dell’irriducibile Ilario Piranha Suppressa, aggregatosi alla storica cricca per la prima volta in vita sua. ‘Sto stronzo non si è degnato neppure di rivolgermi un “grazie” per aver atteso il tardivo completamento delle sue nobili fatiche. Il losco figuro lavorava e ad una certa età, si sa, i riflessi vengono meno. Essere rapidi, a quasi 70 primavere, implica problematiche non indifferenti. Ecco perché l’inizio dell’avventura ha preso forma intorno alle 17:00 o giù di lì. All’assalto della Basilicata siamo in 4 e incredibilmente, da quando mi assumo personalmente l’onere della locomozione, non abbiamo sbagliato strada.
Si fa tutto in fretta (troppa) e furia, al punto tale da trovarci sul luogo del massacro con addirittura un’oretta e mezza d’anticipo sul consueto ruolino di marcia. Motivo? Un passeggero – di cui non farò nome – desiderava ardentemente assistere all’esibizione dei Ghost of Mary. Nonostante il fulmineo approdo in terra lucana captiamo soltanto i minuti conclusivi della gang salentina. Tale esperienza si consuma per giunta all’esterno, dato che la fila per i biglietti è abbastanza consistente (al netto di un deflusso nel complesso zelante). Io comunque la mia parte l’ho fatta, ergo vaffanculo. All’interno ci “scontriamo” con la rinomata condotta gentilmente offerta da sbirraglia& co. Un giorno spero qualcuno mi spiegherà per quale Cristo di motivo, se ti presenti chiaramente senza zaino, l’intellettuale di turno debba ugualmente sentirsi in dovere di domandarti: “E lo zaino?” (…). Un ulteriore quesito, di conseguenza, sorge spontaneo: possibile che la divisa rincoglionisca in una maniera così catastrofica? Evviva i dilemmi esistenziali. Sì lo so, avrei dovuto rispondere “Lo zaino? Me lo sono infilato in culo perché sono pazzerello“.
Andiamo avanti, ché non voglio avere rogne. La prima cosa che salta immediatamente all’occhio è che c’è parecchia più gente rispetto alle precedenti annate. Insomma, per il festival questo è già un grosso passo in avanti. Naturalmente spiccano i classici stand. Fra gli intramontabili panini con salsiccia alla diossina, le birre e il merchandising, c’è di che sbizzarrirsi. Passiamo alle band? D’accordo, parliamone, ma non prima di aver sputtanato l’inarrivabile Stefano, mio amico di vecchia data. È incredibile come quest’uomo sia in grado di dileguarsi in qualsiasi contesto senza lasciare la benché minima traccia di se stesso. Un momento è al tuo fianco, un momento dopo si è smaterializzato. Come credo qualcuno saprà c’è da anni una piattaforma locale (Policorotv.it) che dopo un po’ di ore pubblica in rete dei video e un mucchio di istantanee attinenti la manifestazione. Di conseguenza ti ritrovi foto dei gruppi partecipanti, dell’ambiente, delle pagnotte radioattive e ovviamente della fauna presente sul posto. Bene, prima di riuscire a trovare il Dottor Strange del Salento ci è toccato visionare il materiale nella sua globalità. E parliamo di più di 300 foto. Beccarlo mentre era intento ad ingozzarsi è stata una vera e propria esperienza ascetica.
Ok, la musica: come già accennato abbiamo perso i primi due complessi. Di sicuro non mi sono disperato perché in tutta sincerità, almeno per quanto mi riguarda, l’interesse era quasi unicamente rivolto (in ordine crescente di preferenza) ad In.si.dia, Venom e Sodom. Oddio, in verità è stato un piacere anche assistere alla performance dei tarantini Assaulter perché menano e sono artefici di un thrash metal smaciulla-ossa che da queste parti soltanto in pochi sono in grado di proporre. Ribadisco il mio disinteresse verso i Ghost of Mary. Questo non perché i ragazzi siano degli incapaci (li ho già visionati e con gli strumenti se la cavano), ma semplicemente perché certe sonorità oramai mi spappolano la sacca scrotale. Se parliamo di melodic death riesco al massimo a tollerare i dischi con cui sono cresciuto. Ma solo perché mi tornano utili per constatare quanto io sia decrepito e faccia schifo al cazzo. Chiedo venia, ma quello dei GOM è un genere che allo stato attuale delle cose mi spingerebbe immediatamente al suicidio mediante folgorazione. Spero che batterista e bassista, amici a cui voglio tanto tanto bene, potranno un giorno perdonarmi.
In.Si.Dia – Li avevo già ammirati, assieme alla Strana Officina, lo scorso maggio in quel di Foggia. Fabio Lorini si riconferma sugli scudi, ma è la brigata bresciana in toto a ribadire di essere una realtà stratosferica, grintosa e che colpisce al cuore nonostante l’inesorabile fugacità del tempo. La differenza con Foggia è che stavolta non mi sono commosso sia durante l’esecuzione de Il tempo, sia durante Tutti pazzi (cover dei gloriosi Negazione).
White Skull – Scusate, ma dei White Skull non parlerei nemmeno se mi stessero incollati al culo. In più è un crimine contro l’umanità far suonare gli In.si.dia prima dei vicentini, ma chiaramente questo è un parere strettamente personale.
Sodom – È il turno dei Sodom che mi godo per la terza volta in vita mia. Qui, belli miei, si comincia veramente a fare sul serio. Angelripper, nonostante l’età, è un bel maschiaccio e pare gradire molto l’innegabile entusiasmo dimostrato dai fans. La setlist è di tutto rispetto perché mantiene un saggio equilibrio tra il vecchio e il nuovo che avanza. Ci sono estratti dall’ultimo full length, com’è giusto che sia, ma anche tanta carne al fuoco per quanto concerne il passato. Agent Orange, Blasphemer, Bombenhagel, eccetera. La resa sonora degli animali tedeschi è corrosiva, selvaggia e soprattutto priva di pecche. Per quanto mi riguarda quest’anno la palma dei migliori se l’aggiudicano loro. Dai oh, che ve lo dico a fare!? All’orecchio, inoltre, mi sono arrivate voci dei modi estremamente cortesi palesati dai teutonici dietro le quinte. Onore a loro e in alto i boccali: si brinda al thrash.
Venom – La serata si conclude con i Venom. Partiamo da un presupposto: siamo di fronte ad una semi-parodia dei veri Venom e tutto ciò è confermato pure da un (triste) polpettone di parole che Cronos vomita impunemente tirando in ballo i Venom Inc. di Mantas e Abaddon (che dal vivo sono incomparabilmente meglio, ndr): “Esiste solo una formazione col nome Venom ed è quella qui presente!“. Ahahah li mortacci. Forse è stato a causa dell’alcol, non ne sono sicuro, ma ad un certo punto mi sembrava di assistere al monologo di un Pupo stempiato strafatto di efedrina. Un mix letale difficilmente superabile. Per dovere di cronaca devo ammettere che durante il concerto dei britannici ho avuto la netta sensazione di trovarmi di fronte a imprecisioni grossolane in fase di esecuzione. Ho letto qualcosa in giro sul web e in effetti ho riscontrato ulteriori lamentele in seno ai tecnici del suono (?), alla fumosità dei riff, etc. Un fondo di verità, onestamente, c’è: il sound è stato talvolta impastato, poco fluido e “statico”. Però, per quanto mi riguarda, quello che mi ha colpito in negativo è stata soprattutto la batteria perché l’ho trovata un tantino vaporosa, se mi concedete il termine. Sul resto poco da dire. Non me la sento di essere burbero nel momento in cui le mie orecchie vengono sventrate sulle note di Welcome to Hell, Black Metal, Witching Hour e In League with Satan. Confesso inoltre che i nuovi brani non sono affatto merda putrida (specie dal vivo). Il sipario sulla straordinaria serata cala proprio con In League with Satan. D’altronde non poteva essere altrimenti.
Tiriamo le somme: è innegabile che l’evento abbia soddisfatto i presenti. C’erano individui provenienti finanche dall’estremo Nord e il coinvolgimento ha toccato vette di tutto rispetto. Per farla breve: la giornata si è rivelata molto gradevole. Poi è sempre bello quando qualche metallara (non quella in foto) delle tue zone e che conosci di vista cattura inaspettatamente la tua attenzione durante un riff, un rutto al microfono o un bestemmione apocalittico. True romance never dies, ma per una questione di compostezza/amor proprio non approfondirò l’intrigante faccenda. Discorso organizzazione: mi è parsa lievemente più meticolosa se comparata a quella del passato. Gli scorsi anni c’era questa insulsa direttiva per cui, una volta all’interno, non ti era più concesso di mettere piede fuori. Modus operandi stile Campo di concentramento di Mauthausen. Io sono uscito per andare a pisciare allegramente (i cessi chimici erano occupati), ma francamente adesso non so se mi hanno accordato l’autorizzazione per l’aspetto da patetico delinquente ladro di Big-Babol. Dai, l’importante è che sia accaduto. L’apparato, in conclusione, ha tenuto botta (controlli tragicomici esclusi, come detto poc’anzi).
Nota di colore: al termine delle “ostilità” la nostra attenzione è stata catturata dal mitico, glorioso e storico organizzatore dell’Agglutination: Gerardo Cafaro. L’onnipotente Gerardone, ad un certo punto, ha perso il controllo tipo trottola impazzita. Lì per lì non era chiaro a nessuno il movente, ma a quanto pare Gerarduccio voleva scannare a mani nude le sveglissime forze dell’ordine per le modalità prepotenti con cui a fine concerto si prodigavano nello sgombero della struttura. “Ragioni di sicurezza, ISIS, dirottamenti aerei, preti” e via dicendo. Ed eravamo a Chiaromonte, eh. Attenzione. Gerardo si è dimostrato un cazzo di idolo anche in una circostanza simile e presumo mi assolverà se dico che non farebbe paura nemmeno a mia nonna di 94 anni. Comunque ha avuto due coglioni così. Se ci ripenso mi piscio ancora addosso dalle risate. È proprio vero che il metallo rende invincibile chiunque. E niente, se Satana vuole ci si rivede tra 12 mesi. (Cristian Cinabro)
io sono arrivato a metà white skulls(in macchina me la sono presa un po’ comoda) quindi ho poco da dire, se non che la checca esce bene in qualsiasi foto, ci si rivede tra 12 mesi.
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comunque pensavo d’essere l’unico babbeo ad essere partito da lecce in macchina, ora mi sento meno babbeo, grazie.
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Noi in macchina ci andiamo da una decina d’anni perché ci risulta più comodo. Forse dipenderà da una semplice questione anagrafica: siamo incartapecoriti (e questo prescinde dall’essere dei casi umani sui generis).
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Che bella la metallara in foto. Bravi, bel report!
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