Avere vent’anni: EMPEROR – Anthems to the Welkin at dusk

Il sottopassaggio della stazione dei treni di Firenze è il luogo dove penso di avere passato buona parte del periodo delle scuole superiori. C’erano due negozi di musica, ora uno è scomparso e credo sia stato sostituito da uno di quegli outlet di abbigliamento cinesi, e all’epoca ricordo che straripavano di dischi metal di ogni sorta. Ti piazzavano in vetrina fra le nuove uscite del mondo discografico The Sound of Perseverance senza troppe menate. Uno aveva perfino la sezione  dell’usato, dove per due lire trovavi delle cose incredibili. La cosa che li accomunava era la presenza di lettori cd murati al bancone coi chiodi di Hellraiser, per evitare che qualche pischello glieli portasse via.

I negozianti mi conoscevano benissimo, poiché era lì che finivano le mie paghette settimanali, e uno dei due -Nicola- sapeva benissimo quali fossero le fittonate che gradualmente, e più o meno temporaneamente, mi affliggevano. Era toccato in quel periodo a quel black metal evoluto che usciva dagli schemi delle prime due ondate… Era perfetto, suonato e prodotto bene, e in tre anni erano usciti Battles in the North, Nemesis Divina e Anthems to the Welkin at Dusk. Conoscevo soltanto i primi due, perché un compagno di classe sosteneva di essere di estrema destra e siccome secondo lui quegli album lo erano altrettanto, li aveva comprati e me li aveva passati. Non tutto il male viene per nuocere.  Nemesis Divina è uno dei due dischi che consiglierei a qualcuno per avvicinarlo al black metal, escludendo per motivi di stile quel capolavoro di contaminazione, evoluzione e maturità che è Enthrone Darkness Triumphant. L’altro è questo degli Emperor, non ho dubbi.

Il negoziante, Nicola, a conoscenza del mio delirio da neo-blackster che ha ascoltato cinque gruppi e altrettanti nomi li ha letti sulle riviste, mi mise il cd nel lettore inchiodato e non arrivai a metà della seconda traccia (nonché prima canzone) che gliel’avevo già acquistato. Solo sei canzoni, due strumentali, la bella In longing spirit già presente sull’ Ep Reverence e una riedizione strumentale finale che dovreste conoscere, completano la sua edizione più nota. E delle sei che ho citato, non ce n’è una che stoni. Fatta eccezione per le pur buone The acclamation of bonds e la potentissima Ensorcelled by Chaos, le altre sono segni indelebili di cosa potessero combinare band del genere in quegli anni, affermandosi al pari con i brani del precedente In the Nightside Eclipse, che per molti o quasi tutti è il capolavoro assoluto della band di Ihsahn e Samoth.

In un certo senso, escludendo gli esordi, questo è il primo lavoro in cui si notano le influenze ben distinte dei due compositori del terzetto (all’ epoca accompagnato da un bassista in pianta stabile, Jonas Alver)… mai in futuro le parti saranno così ben bilanciate. Nel successivo IX Equilibrium Ihsahn libererà Samoth come un cane sciolto, facendo virare la band dalle parti del death metal, ma come si dice a Firenze, gliela farà ricacare pesantemente due anni dopo con Prometheus. Qua nessuno dei due prevale realmente, e l’anima estrema del chitarrista si amalgama con quella del frontman anziché scontrarsi con essa. Io che sono un fissato dei suoni posso solo constatare come il disco sia stato registrato a regola d’arte ma mixato sotto attacco epilettico, con voce e batteria nettamente in secondo piano in favore delle onnipresenti tastiere. Se volete godervi le stesse canzoni facendovi un’idea di come Trym le suonasse, procuratevi di corsa Emperial Live Ceremony del 2000. Ma sono dettagli, questo è semplicemente un capolavoro, e With strenght I burn è una delle canzoni più belle che abbia mai sentito. (Marco Belardi)

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