LABYRINTH – Architecture Of A God
Alla fine i Labyrinth sono in attività da vent’anni, e giusto qualche tempo fa scrissi proprio dell’esordio discografico, No Limits, che per l’epoca non era affatto male. E dopo due decenni sono ancora non affatto male? Bé sì, più o meno. Però mi sembra sempre che manchi loro qualcosa, qualcosa di indefinito, non so. Alle volte mi pare si perdano in atmosfere eccessivamente dilatate, altre che ficchino a forza troppe parole in certe linee vocali col risultato di appesantirle enormemente, dove invece potrebbero essere assai più fluide. I ritornelli di ‘sto disco pare ne soffrano parecchio, per dire, ma non solo quelli. Oh, questo in ogni caso non ha nulla a che vedere con la qualità intrinseca del cantato, che è sempre ottima adesso come in Return To Heaven Denied e nei dischi successivi, confermando Tiranti un cantante di razza, dotatissimo. Come pure il lavoro di batteria di John Macaluso è ovviamente, di prim’ordine, come ci si aspetterebbe da uno che ha suonato praticamente con chiunque. Basso, tastiere? Tutto bene. E allora? Boh, di certo gli assoli non li annovero tra gli elementi più riusciti di Architecture Of A God. Non che siano suonati male, è solo che da gente di, boh?, quasi cinquant’anni (Carlo Andrea Magnani – Olaf Thorsen è del 1971, Andrea Cantarelli occhio e croce saremo lì, primi metà anni settanta del secolo scorso) e sulla scena da tanto tempo, non mi aspetto proprio pick up al manico fisso o quasi e via di grattugia ogni sacrosanto assolo come fossimo in una di quelle videocassette didattiche hot licks dei tempi che furono. Cioé, vent’anni fa ci stava, mo’ no. O molto meno, comunque. Porca puttana, oggi che esistono youtube e robe allucinanti tipo le ragazzine giapponesi di otto anni che rifanno Scarified o che cazzo ne so non ha senso alcuno mettersi lì a fare a chi ha imparato a plettrare meglio, su, ché andare veloce è figo e tutto ma ogni tanto diversificare non fa mica male, anzi. Più che altro non c’è proprio una via di mezzo, o grattuggia a gò-gò per l’ottanta per cento del disco oppure arpeggini puliti e chitarrine scondite nei momenti riflessivi e ariosi Mango-metal.
Vabbè, comunque quello che manca ai Labyrinth di indefinito in realtà tanto indefinito non lo è, perché secondo me è proprio la spinta propulsiva di Frank Andiver, batterista dei primi due dischi, compreso quel Return To Heaven Denied con il quale fecero il botto, a mancare. Un po’ com’è successo coi Blind Guardian post Thomen Stauch: dischi ottimi, poi carini e poi il tracollo dell’ultimo, parabola discendente non dovuta solo alla mancanza del batterista storico, ma anche se non soprattutto a quello, diciamo. Ovviamente questo Architecture Of A God non è certo un tracollo, anzi è un buon disco, forse un po’ troppo costruito a tavolino ma buono comunque, posto che, ripeto, sono in giro da vent’anni. La porzione migliore dell’album si concentra nella sua prima metà, dall’iniziale Bullets fino ad arrivare ad A New Dream, ottime canzoni anche piuttosto ispirate. Il pezzo che da il titolo al cd, Architecture Of A God, invece non è nulla di particolare e scorre via senza lasciare particolari voglie di essere riascoltato, Those Days è una ballata che per carità, la riproposizione di Children di Robert Miles (riposa in pace) tanto minutaggio buttato nel cesso, We Belong To Yesterday è carina tutto sommato e poi boh?, ascoltatelo. Tanto l’antifona l’avrete capita, mi pare: un buon disco, non imprescindibile in generale ma tutto considerato piacevole, soprattutto per chi è fan del gruppo. Ma tanto se siete fan di sicuro lo avrete già. (Cesare Carrozzi)
Secondo me se avesse avuto 5-6 pezzi in meno sarebbe stato un discone: troppo lungo, troppo prolisso in certi tratti addirittura noioso. Ed è un peccato perchè oltre a tanto fumo c’è anche parecchia ciccia. Tiranti ha ancora una voce spaventosa e tutto sommato ognuno fa il suo lavoro alla grande. Li preferivo più smaccatamente power ma insomma, diciamo che i Labyrinth sono ancora parecchio in salute dai :)
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a me facevano impazzire con le tamarrate trance metal degli inizi.
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Non ci sono più i metallari quelli di una volta. Quelli a testa bassa, inferociti per il ritorno del cantante che non voleva fare più metal e giustamente te lo trovi pure a duettare con Scanu (che poi è bravo eh) da Red Ronnie. Giusto. Reunion è sempre tempo di reunion. Il metallaro tuttavia, che oggi sogna di avere un la golf kart di hansi in una deriva borghese alcolica, si esalta per diverse ragioni:
1. sente aria di album prog power mistico
2. i tempi andati che tornano sono addirittura meglio dei tempi che non possono tornare
3. metallari su marte…
…ecco dunque erigersi retoriche recensioni che cantavan la gloria sempiterna dei nuovi eroi di terra italica. En marche! Che non sta per…nelle Marche, ma in fondo, il nulla confenzionato da presente poi uguale al passato è sempre #. (giusto per dire che concordo, su per giù, sul pezzo qui sopra) :)
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Disco meh.
Torno a segarmi su Ithaca dei Dark Quarterer.
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