Impiattare la schnitzel con la pasta sopra: IRON SAVIOR – Titancraft

Iron-Savior-TitancraftAmando, tra gli altri, gli Helloween e i Blind Guardian, per me è stato naturale appassionarmi fin da subito agli Iron Savior di Piet Sielck, supergruppo nei cui primi due dischi militò gente come Kai Hansen, Dan Zimmerman (ex Gamma Ray e Freedom Call) e il mai troppo compianto Thomen Stauch (non che sia morto, solo che tra problemi di salute e quant’altro ormai è lontano dalle scene da un sacco di tempo, sebbene l’anno scorso abbia impreziosito l’esordio dei Serious Black, onesti braccianti con almeno un altro nome di rilievo tra le file: Roland Grapow, che però non riuscì seguire in tour la band, comunque sfaldatasi poco dopo). Il primo disco era una bomba, il secondo ancora meglio, il terzo pure buono. Finché, all’epoca di Battering Ram, li ho persi un po’ di vista. Megatropolis, al netto di un paio di pezzi, era trascurabile. Eventualmente riascoltavo i primi due e morta lì.

Senonché negli ultimi anni Piet Sielck ha tirato fuori un singolo più bello dell’altro. Pensateci, nel 2011 Heavy Metal Never Dies (tratto da The Landing), due anni fa Burning Heart (da Rise Of The Hero che peraltro è un bel dischetto) a adesso Way Of The Blade, un pezzo semplice che prende piuttosto bene, col dubbio vantaggio di avere il video più scemo dell’universo, roba proprio da crucchi che impiattano la schnitzel con la pasta sopra. Ma che cazzo gli dirà il cervello a questi, mah.

Altri pezzi bellini ci sono, come Beyond The Horizon, The Sun Won’t Rise In Hell, Strike Down The Tiranny o la stessa Titancraft. Diciamo che c’è molta passione, però quando fai un disco ogni due anni e sei pure l’unico compositore del gruppo, un calo qualitativo è prevedibile, se non propriamente dietro l’angolo. E’ fisiologico. Questo vuol dire che, se quattro pezzi sono appunto bellini, gli altri non lo sono tanto, tipo RebelliousGunsmoke (per carità) o I Surrender (che è una ballata, però Piet Sielck non è davvero quello giusto per scrivere ballate, e infatti). E “bellini” non vuol mica dire “belli”, eh? “Bellini” vuol dire che sì, si lasciano sentire lì per lì, ma non ti invogliano a riascoltarli.

Il calo si nota anche negli assoli. Quello che mi è sempre piaciuto di Piet Sielck, ed in misura maggiore di André Olbrich dei Blind Guardian, è che, pur non essendo un mostro di tecnica, è molto bravo nel comporre assoli che diventano veri e propri brani strumentali all’interno di un pezzo per il resto molto tradizionale. Cioè, non avendo la tecnica per puntare al classico assolo festante e veloce si è concentrato su un approccio alla Brian May, ovvero sovra incisioni e sovra incisioni di chitarre armonizzate, strutturate per avere delle linee melodiche a sé stanti rispetto alla restante parte della canzone, delle ‘piccole sinfonie’ se mi passate la terminologia, che mi hanno sempre preso moltissimo, perché, pur non essendo tecniche dal punto di vista esecutivo, lo sono, e molto, da quello compositivo. Sappiate, cari amici, che ci vogliono una cura ed una dedizione non comuni per concepire ed arrangiare un assolo a quella maniera. Ecco uno dei motivi, per dire, per i quali i Blind Guardian tra un disco e l’altro fanno passare qualche anno (anche se l’ultimo fa schifo). Capite il punto: quando questo non accade, come nel caso di questo Titancraft e dei due lavori precedenti, vuol dire che Piet Sielck non ha avuto il tempo o il modo di farlo, o anche la voglia, tutto sommato. Un approccio più semplice, più veloce, in sintesi più facile che però ad un certo momento non è più remunerativo. Non al terzo album di fila in tre anni, perché se i singoli funzionano, semplici (come è giusto che sia) e ispirati, il resto dell’album è altrettanto semplice ma purtroppo ben poco ispirato.

E quindi nulla, se vi piacciono gli Iron Savior date comunque un ascolto a Titancraft, che almeno per metà è gradevole, con una prece per il vecchio Piet, ovvero, va bene la passione ma prima del prossimo lavoro controlli un po’ le batterie atomiche dell’Iron Savior, sennò dall’orbita finisce che gli caga le scorie dritte dritte sul nudo cranio. (Cesare Carrozzi)

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