Gente che si scandalizza meno: KATATONIA – Dead End Kings (Peaceville)
Forse il problema è in noi che siamo troppo categorici. In altri ambiti e mondi musicali se un gruppo passa, ad esempio, dall’alternative rock al pop o, che so, dalla trance all’house forse riceve meno schiaffi in faccia dal proprio pubblico. Vado per ipotesi non avendo dati oggettivi che mi confortino nel ragionamento. Per quanto ci riguarda in generale (e per quanto mi riguarda nel particolare) a fronte di un cambio di rotta repentino ci troviamo molto spesso a storcere il naso. Io sarò anche troppo tradizionalista e forse il pubblico metallaro lo sarà anche più di me, può darsi, ma con le dovute eccezioni e liberi dalla tentazione a generalizzare. Del resto accadde con gli Opeth, ce lo ricordiamo bene, come accadde anche cogli Ulver, due gruppi citati non a caso. Per quanto riguarda i Katatonia non sono mai caduto nel facile giudizio on/off, bianco/nero e ho provato ad ascoltare questo ennesimo buon disco con un approccio totalmente libero da preconcetti. Il giudizio l’ho già dato: è un buon disco. I Katatonia di oggi fanno quel tipo di musica un po’ a cavallo fra generi diversi che colpisce più la mente che la panza, un genere che vado cercando sempre più spesso e che molto raramente trovo espresso a questo livello. Se voglio soddisfare la panza e riempire il cuore di buoni sentimenti mi ascolto l’ultimo dei Manowar e di certo non metto nello stereo Dead End Kings. Da qui il giudizio libero da condizionamenti sarebbe stato l’ottimo piuttosto che il buono, ma non si può prescindere da considerare una carriera lunga ormai 20 anni durante i quali certamente non è mai stato fatto un passo falso. Forse solo il precedente Night is The New Day l’ho trovato più lento del solito e meno convincente rispetto a quel gran disco che fu The Great Cold Distance. Ma in questi anni non possiamo dimenticare i lavori fino a Discouraged Ones (compreso) che riuscivano a impressionare sia la mente che la panza oltre che molti altri organi del corpo. Se diamo al punto di osservazione un respiro un po’ meno ampio, e consideriamo solo il percorso oscuro e poco evidente all’inizio ma poi sempre più chiaro che i Katatonia hanno tratteggiato da Viva Emptiness in poi, non posso che tornare di nuovo a quell’ottimo che proprio non riesco più a trattenere. Dead End Kings non è altro che la logica continuazione di quel percorso non tortuoso ma estremamente lineare che oggi riesco a cogliere in tutte le sue sfaccettature. Qualcuno dirà che i Katatonia hanno impiegato troppo tempo per arrivare a ciò che gli Opeth facevano dieci anni fa. Qualcun altro dirà che si aspetta dai Katatonia del futuro lo stesso pericoloso percorso degli Ulver. Ammetto che si tratta di pensieri che mi sono balenati in mente e forse questo qualcuno sono proprio io però sento di non essere stato in nessun modo tradito nelle aspettative dall’evoluzione dei Katatonia e questa piacevole confusione che Dead End Kings mi provoca riesce a farmelo apparire ancora più interessante. (Charles)
reduce dalla delusione datami dal precedente, che invece di Night Is The New Day avrebbe dovuto intitolarsi Day Is The New Night visti i memorabili pomeriggi di sonno che mi ha regalato, da questo disco mi aspettavo veramente poco…
invece, senza proporre nulla di nuovo, senza raggiungere le vette degli altri dischi targati Katatonia che presentano volatili morti in copertina, questo Dead End Kings si fa apprezzare. ritornelli azzeccati, Renske che azzarda addirittura qualche variazione sul suo leggendario monotono, un buon lavoro in fase di arrangiamento che aggiunge profondità e fluidità all’ascolto e il disco è stabile nella mia heavy rotation
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