NE OBLIVISCARIS – Portal of I (Code666)

Forse è più facile cominciare col dire cosa non è. Non è black metal e nemmeno avant garde. Non è un disco di immediata e facile assimilazione. Non è conciso e subito efficace. Non è leggero e sicuramente non spensierato. Ma non è nemmeno roba da nerd comunque. La proposta dei Ne Obliviscaris scavalca l’incasellamento e mette in difficoltà il recensore, questo è poco ma sicuro. Una bella sfida per chi ne vuole scrivere. Richiamarsi ai soliti Opeth del resto è troppo facile e scontato ma una più che vaga rimembranza del loro stile c’è. In effetti è innegabile che gli Opeth abbiano fatto scuola riguardo ad un certo modo di proporre nuove sperimentazioni in ambito metal. Per quanto mi riguarda più che i suddetti il pacchetto confezionato dai Ne Obliviscaris, almeno nella parte strumentale, mi ricorda la dimensione liquida del prog/jazz/fusion dei geniali Cynic di Focus mentre riguardo alle atmosfere mi ributta in una angoscia degna del miglior Devin Townsend di City, seppur questa provenisse da un io interiore meccanizzato ed industriale rispetto a quello blackeggiante e sognante/disperato degli australiani. Riguardo al crossover (parolina magica che non si adopera più nelle recensioni) diciamo che i maestri nel genere erano i Faith No More nelle cui fasi decadenti (Album of the Year) avevano creato una vera e propria ricetta per la dissonanza, che si ritrova in grande quantità in Portal of I. Dimenticavo, il comparto chitarre pulite/distorte sa molto di Agalloch primi tempi. Ma come ho vagheggiato all’inizio, a fare riferimenti non si finisce più e si rischia di uscire dal seminato. Il black metal è l’ingrediente base, diciamo pure la farina, a cui si aggiunge un’infinità di ingredienti (lo so che l’idea della ricetta è abusata ma qui ci sta tutta). Grande e abbondante l’uso dei violini del più disturbante avant garde metal nonché in stile darkwave cabaret. Un violino non fa sempre folk come una rondine non fa primavera. Non mi parlate di metal intellettuale solo perché ci sono dentro tremila stili diversi e si sovrappongono voci pulite/screams ma non parlatemi nemmeno di pippe prog per il solo fatto che la durata del disco supera l’ora e dieci. Il prog metal, quello freddo e tecnico di fine anni ’90, non ha nulla a che vedere coi Ne Obliviscaris e nemmeno certo power/speed che ogni tanto sembra voglia venire fuori prima di svicolare schizofrenicamente in un growl o in un arpeggio di chitarra acustica. In definitiva comunque un lavorone di tutto rispetto che colpisce per l’inaspettata coerenza del complesso mix di elementi. Si fa apprezzare dall’inizio alla fine, non annoia mai ma soprattutto lo si rivaluta ad ogni successivo ascolto grazie alla grande quantità di idee espresse. (Charles)

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