ATLANTEAN KODEX @Helicon Metal Festival, Varsavia – 25/03/2023

Quando gli anni scorsi vidi il poster di questo evento con i guerrieri muscolosi e le donnine discinte pensai subito a un festival di terz’ordine con bande locali mai sentite, e mi dissi che non valeva la pena farsi trecento chilometri solo per vedere tanta mirabile ignoranza, sempre sia lodata.
L’autunno scorso vidi invece il cartellone di questa edizione del 2023 e per poco non mi prese una sincope: uno dei gruppi heavy metal migliori dell’ultimo decennio, se non il migliore, sarebbe stato headliner dell’evento. Clicco sul link, pago con Google Pay prima di subito e sto senza preoccupazioni per circa sei mesi.
Marzo arriva, freddo e imprevedibile come sempre, ed è tempo di organizzare la trasferta. Impacchetto quindi calze, mutande e maglie dei Manilla Road d’ordinanza e mi trasferisco nella capitale per poco più di ventiquattro ore, pronto a tornare a casa il pomeriggio successivo.
Dopo gli iniziali traumi, che includono un tassista georgiano che da Ochota mi accompagna fino all’hotel fermandosi ogni trecento metri nel traffico infernale dell’ora di punta di Varsavia per aprire a volte lo sportello altre il finestrino e sganciare una sputazza, e un tragitto segnalato per i pedoni da Google Maps pieno di imprevisti e che mi costringe a prendere deviazioni importanti per arrivare al luogo del festival, giungo in ritardo rispetto alla tabella di marcia, perdendomi i Mayhayron in apertura. Erano a Cracovia pochi giorni prima per una serata con Monasterium e Roadhog (gruppo che vi consiglio caldamente) e mi sono detto che, siccome tra pochi giorni li avrei visti a Varsavia, tanto valeva non andare. Destino ha voluto anche stavolta che non sia riuscito a vederli, visto che quando arrivo al Klub Remont si stanno esibendo i Gutter Sirens, e dal nome avrete già capito da dove traggono ispirazione. Infatti, come a darmi il benvenuto, eccoli alle prese con una cover di Edge of Thorns. Ottima esecuzione con chitarrista ultramegariccardone che torna utile anche nei loro pezzi originali, pieni di buon gusto e assoli chilometrici. Molto derivativi, ma un bel sentire per aprire le danze. Intanto accanto al palco ci sono i soliti immancabili banchetti del merchandising, compreso quello della madrina della serata, ovvero la Ossuary Records, che se vi piacciono gli spadoni e le teste mozzate vi consiglio caldamente. Compro subito una maglia-ricordo della serata al banchetto degli Atlantean Kodex, vendutami da una bella ragazza coi capelli rossi (bonus). Dopo un po’, mentre sul palco si apprestano a salire gli Evangelist, che come me arrivano da Cracovia, vedo anche comparire Coralie, la chitarrista dei Kodex, che con piacere si ferma a salutare i fan e a fare foto. Carinissima anche lei e simpatica.
Gli Evangelist, dicevamo, con la loro immagine copia-carbone dei Candlemass d’antan. Il cantante è vestito anche lui da frate e tiene in mano un teschio per tutta l’esibizione. I pezzi sono proprio come ve li immaginate, ma i polacchi sembrano proprio conservare i migliori per l’ultima parte della scaletta, giustamente. Spicca per esempio Memento Homo Mori, molto evocativa con il suo refrain ripetuto come un mantra. Crescono con il passare dei minuti e mi rendo conto del perchè molti degli avventori hanno la loro maglietta indosso. Sembra che parecchia gente li aspettasse con impazienza e ora riesco a capirne la ragione.
Il bill dovrebbe andare in crescendo con Venator e Smoulder a seguire, fino al momento degli headliner. I Venator si presentano sul palco carichissimi e il loro speed metal dal sapore ottantiano spacca abbastanza. Tagliente, veloce ed efficace. Penalizzato forse un po’ dai suoni, ma comunque si capisce perché anche loro vengono tributati con i giusti applausi e ovazioni, alla fine della scaletta. La cosa che mi diverte è che i nostri amici austriaci sembrano catapultati nel duemilaventitrè direttamente dal millenovecentoottantaquattro. Non avevo mai visto tanti baffetti e tagli di capelli scalati con frange come in questa occasione. Il cantante poi indossa una canotta degli Slayer del Reign in Pain Tour del millenovecentoottantasette, facendo sembrare il tutto ancora di più una operazione nostalgia. Per carità, va benissimo così: il metal è genere che davvero per guardare al futuro sembra sempre di più destinato a guardare al passato. Noialtri, del resto, di riffazzi in stile Accept, Saxon e Motorhead non ci stuferemo mai, anche se questi vengono ripetuti per un numero infinito di volte. Se vi piacciono i Venator colgo l’occasione di segnalarvi gli Armagh, più o meno sullo stesso stile ma forse con più estro compositivo degli austriaci. Sono un giovane gruppo di Varsavia con dentro gente dei Truchlo Strzygi e che dopo due album abbastanza sul versante estremo si sono dati a suoni più “classici”, dando vita ad uno dei dischi dell’anno scorso. Se vi piacciono questo tipo di suoni vi piaceranno sicuramente anche loro.
C’e da dire pure che il luogo prescelto per la serata, seppure buio, umido, accogliente e affascinante proprio come quella cosa là, ha anche dei limiti, ovvero due colonne proprio di fronte al palco che a volte ostruiscono la visibilità. Niente di drammatico però. Vedo Coralie che si aggira ancora tra il pubblico, anche perchè c’è tempo. Ci sono gli Smoulder prima, in questa lunga maratona di heavy metal.
Su disco gli Smoulder sono un bel gruppetto. Hanno tutto quello che serve per attirare la gente come me, che si accontenta delle cose semplici: una copertina in stile Frazetta, un titolo altisonante, la pomessa di musica di cappa e spada. Ci sto dentro, bro. I finlandesi/canadesi fanno parte della scuderia Cruz del Sur, proprio come un tempo furono gli stessi Atlantean Kodex.
Il pubblico sembra gradire parecchio, ma a me non fanno una grande impressione. Il problema è subito individuato: in mezzo all’epic doom di ordinanza, con davvero dei bei picchi, la cantante Sarah Ann dal vivo suona piuttosto ordinaria, e ho l’impressione che se si prendesse una qualsiasi donna dal pubblico con un minimo di intonazione il risultato non cambierebbe. Ad ogni modo la passione si vede, perche Sarah ci mette il cuore e sul palco sembra saperci fare. L’ispirazione é evidentemente quella delle eroine del genere, vere e proprie pioniere tipo Jutta Weinhold. Forse la colpa è ancora una volta del tizio al mixer (lo so, è sempre comodo scaricare tutta la merda su chi smanetta le manopole, ma tant’è). Però onestamente, viste anche le esibizioni dei due precedenti gruppi, non sono tanto sicuro che meritassero il penultimo posto in scaletta. Sono abbastanza deluso, anche perché a me i dischi erano pure piaciuti. Spero comunque di rivederli, magari con suoni migliori.
È sempre antipatico fare paragoni, ma se devo scegliere un gruppo di riferimento per questo preciso stile musicale, al momento andrei senza indugio sui finlandesi Iron Griffin, reduci da due dischi della Madonna e il cui ultimo Storm of Magic fu per me per distacco l’album migliore del duemilaventidue.
Gli Atlantean Kodex sono finalmente sul palco e dalla transenna, guardandomi intorno, noto con piacere che ci sono anche i classici striscioni con la bandiera polacca e il logo del gruppo. Hanno un seguito davvero feroce, che canta a squarciagola ogni parola. Ripeto, secondo me sono il gruppo heavy metal migliore dell’ultimo decennio, e ne danno dimostrazione anche stasera, pescando da tutti e tre gli album ed eseguendo esattamente quello che un loro estimatore si aspetterebbe di sentire dal vivo, ovvero i loro pezzi migliori tipo Chariots, Heresiarch, Sol Invictus, The Atlantean Kodex, Lion of Chaldea, Twelve Stars and an Azure Gown e via discorrendo. Il fomento è altissimo, il tasso alcolico pure, e per fortuna i suoni sono migliori. D’altronde sono queste le cose belle della vita, come diceva quello: “one more beer and heavy metal and I’m just fine”. Cosa posso dire di più? penso che il valore degli Atlantean Kodex sia indiscusso e chiunque ne neghi il talento potrebbe anche perdere l’udito oggi stesso perché di due orecchie non se ne fa nulla. La loro è una dimensione di epicità in musica che ha come termine di paragone le cose migliori scritte e dirette da John Milius nella dimesione filmica o i racconti di Robert E. Howard in quella letteraria, e il loro raffinato stile di scrittura è pregno di simbologie e citazioni di antichi miti e culti, riferimenti letterari e folkloristici. A riguardo molto ha già detto un collega altrove in maniera esemplare. Ci sarebbe da perdercisi per ore. Quello che però perdo stavolta è la voce, e la mattina dopo lo sforzo si fa sentire. Eppure in quel preciso momento non sarei voluto trovarmi in nessun altro posto e per nessun motivo al mondo, credetemi. (Piero Tola)
Tanta sana epica invidia, troppo tempo dall’ultimo live di questi Signori qui.
In un mondo perfetto, almeno una volta all’anno bisognerebbe fare un richiamino.
Del “nuovo” stuolo di band epiche o nwothm, per me restano gli alfieri incontrastati.
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