Recuperone di fine anno vol. 2: epica antica e moderni cimmeri

Converrete con me, spero, che il 2021 era stato decisamente un buon anno per i fan del doom epico. Grazie ai Wheel, che hanno tirato fuori un disco di quelli che rimarranno negli anni, per chi ha orecchie per ascoltare. E non c’erano solo loro. Quest’anno, invece, in questo specifico campo (di battaglia), di cosette degne di nota non ne abbiamo trovate molte. Quindi si riponevano aspettative nel ritorno dei padrini, ma non puoi pretendere il miracolo da chi la storia l’ha già fatta. Ma poi ecco arrivare nuove schiere di Cimmeri disposti a raccogliere l’ascia bipenne caduta ai predecessori, pronti a portare avanti l’epica dei Classici.
È un po’ tutta questione di aspettative, coi CANDLEMASS, forse la band più influente in campo doom a parte un certo quartetto di Birmingham. Se ti aspetti un nuovo Nightfall o Epic Doomicus Metallicus, più di tre decenni dopo, chiaro che stai sbagliando qualcosa. Anche se Sweet Evil Sun è il secondo disco dal ritorno del figliol prodigo Johan Längquist. Quindi il terzo in tutto. E ascoltare lui, piacente sessantenne, è sempre un piacere, specie dal vivo. Su disco è chiaro che l’oggi dei Candlemass è un’altra cosa. Non la stessa, però comunque dignitosissima. Quindi non mi lamenterei mai se continuassero con un disco ogni due anni, ancora, anche se non memorabile. In Sweet Evil Sun momenti che sorpassano la soglia del carino non sono tantissimi. I pezzi si assomigliamo un po’ tutti, i riff pure, nessun momento che fomenti particolarmente. Sono buone Crucified, Scandinavian Gods (se autoreferenziale, ci sta), Wizard of the Vortex. In realtà un po’ tutte. In realtà le anticipazioni facevano già capire cosa sarebbe stato il disco: una collezione di tempi medi e standard, una buona occasione per far partire un nuovo tour. Ma sotto al palco la gente si aspetterà il repertorio vintage.
Meno seminali (beccati questa, Belardi), ma pure sempre un pezzo di storia i finlandesi SPIRITUS MORTIS, il cui disco quest’anno attendevo con impazienza perché il precedente, The Year is One, era davvero figo. Purtroppo non è scattata la scintilla con The Great Seal, un po’ per il suono più banale e di conseguenza per la mancanza di atmosfera. Il cambio di cantante ha sicuro influito, ma sembra pure tutto il resto, i suoni e la composizione, ad essersi asciugati. Quindi un disco di canzoni doom in tempi medi, del tutto simili a quelle dei Candlemass odierni. Che chiaro che sono e restano il riferimento per eccellenza di chi percorre la via epica al doom. Rispetto al disco degli svedesi, The Great Seal ha forse momenti migliori, ma anche peggiori. Martyrdoom Operation non la sopporto. Molto meglio il groove di Khristovovery, che si riallaccia infatti alle atmosfere del precedente. Però proprio non riesco a farmi andar giù che di fatto il disco sconfina spesso con un hard rock senza spezie, senza slanci emotivi, con linee melodiche sciatte (Feast of the Lords) e dinamica zero. Come si diceva per i Candlemass, è un problema di aspettative. Però visto (o meglio sentito) il precedente, si poteva fare di più.
E se i capostipiti degli ’80 e dei ’90 suonano così medi, al giorno d’oggi, capita ovviamente che gli epigoni non brillino nemmeno rispetto alla fase di stanca dei loro idoli. Questo il caso dei vicini di casa di Piero Tola, i MONASTERIUM, che dalla Polonia propagandano il verbo dei padrini svedesi. Cold are the Graves è un disco praticamente intercambiabile coi due di cui abbiamo parlato prima, non fosse per il timbro della voce, che ovviamente non può essere lo stesso. Lo è la musica, inteso come suoni, soluzioni, vibrazioni (poche), scrittura. Che quindi non mi sia entusiasmato per Candlemass e Spiritus Mortis credo sia chiaro. Ma a voi cosa delude di più, un vecchio leone a corto di fiato o uno giovane che non ci prova nemmeno a farsi un territorio suo? Credo il secondo. Mi spiace per i Monasterium, ma non mi vanno gran che giù. Per di più, alcuni dettagli a momenti indispettiscono (l’enfasi del cantante, i fill di batteria in cui senti lo splash, dio bono, lo splash). Titoli come Cimmeria e Necronomicon purtroppo non bastano da soli. Poche idee, ma annacquate.
Se però cominciavo a perdere la speranza di ascoltare del buon epic doom anche quest’anno, ecco una graditissima sorpresa, l’esordio omonimo dei finnici GARGANTUAN BLADE. Che dal numero di pezzi (quattro) scambiereste per un Ep, dalla durata (trentasei minuti) forse no. Anzi, ben vengano i classici dischi da quaranta minuti, altro che. I Gargantuan Blade sono il grado zero dell’epic doom, rozzo, semplice, ignorante MA malinconico e trascinante. Fomentano parecchio andamenti, dinamiche, melodie. Anche se semplici e tradizionali. Barbari sono barbari, la tecnica è poco più del minimo indispensabile. Meno ricami e più pezza. Non siamo lontani da quei Vendel che ci hanno fatto impazzire grazie a soli tre pezzi originali. Solo i tempi sono più lenti, meditati. Dungeon Lord è un brano bellissimo, dimostra che per scrivere una canzone epica servono poche, chiare cose. E i Gargantuan Blade dimostrano di saperle scrivere, con pochissimi elementi, suoni duri e melodie riuscite. Dicevo, grado zero dell’epic doom, ma stavolta più Solstice che Candlemass. Necromancer’s Blood ha anche un bellissimo finale alla Angel Witch. E ovviamente Black Sabbath. Lo trovate su Bandcamp e francamente non ho capito se ne esistono pure copie fisiche. Splendido esordio. Finché sbucheranno fuori dal nulla band così quelli come noi sono apposto. (Lorenzo Centini)
Mi trovo molto nel giudizio di Lorenzo su Candlemass e Spiritus Mortis (particolarmente deludente).
Segnalo, in ambito epic doom, i greci Doomocracy, autori di un attuale terzo album (Unorthodox, titolo che non può non starmi simpatico anche per via degli Edge of Sanity) molto, molto interessante.
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