Avere vent’anni: BLACK SABBATH – Past Lives

Past Lives è la riedizione deluxe di Live at Last cui hanno aggiunto un CD di bonus e cambiato nome. Pensate che pirla, io che già possedevo questo qua sono andato poi a comprarmi anche il live originale, ma fa sempre bene avere un CD in più dei Sabbath sullo scaffale. Comunque un po’ dei Sabbath cominciava a fregare nuovamente alla gente, c’erano l’Ozzfest e The Osbournes. Non ancora da farci business plan per una reunion milionaria, ma già sufficiente per mettere il vestito nuovo ad un disco che non aveva venduto presumibilmente un cazzo. Ma quindi di cosa parliamo, di una ristampa uscita 20 anni fa, anche se infarcita di qualche bonus goduriosa? No parliamo di noi e degli altri. Ed è una distinzione tutta interna alla musica con le chitarre elettriche, più o meno pesanti. Non so se mi seguirete, quindi la prendo larga: quelli seri, i rocchettari, quelli che conoscono la musica, di solito si dividono tra Purple e Zeppelin. Se non si masturbano sui gorgheggi di Plant e le bastonate di Bonham, è probabile che prediligano i Purple. Seriamente tecnici, musicisti colti. “Made in Japan è il più grande disco live di sempre”. E chi vi dice di no. Solo che io l’ho comprato e ascoltato si è no dieci volte, forse meno. Che di sentire Lord e Blackmore che si sbrodolano me ne faccio poco (andrebbe già meglio coi Rainbow nei live era Dio). Quando dovevo prendere i CD da casa dei miei per portarmeli dove mi sono stabilito manco sapevo se prenderlo. Bello. Fantastico. Ma che palle.

Veniamo a Live at Last / Past Lives, che del monumento Purple Mark II è la perfetta antitesi. Perché c’è Ozzy che non fa gorgheggi e vocalizzi di cui non è capace. Suda e canta e trascina e grida WE LOVE YOU che nemmeno la vostra stessa madre è mai riuscita a convincervi meglio che non sia stata del tutto una fregatura essere stati messi al mondo. WE LOVE YOU, WE LOVE YOU ALL, e non sai nemmeno quanto noi amiamo te, Ozzy. Poi c’è un Geezer mastodontico, forse l’unico del quartetto che tecnicamente potrebbe vedersela con la concorrenza diretta (Zep, Purple, Rush), ma sempre un bassista è, per cui risalta poco in un disco che suona fangoso come questo qui. Iommi invece a tecnica è limitato, per lo meno rispetto alla concorrenza (lo sappiamo, la mano, forse non solo), ma è sempre cento, mille, un milione di volte avanti rispetto a chitarristi geniali, fantastici, ma ancora ancorati a forme sixties o tentazioni di emulazione di musica classica. Secco e duro nei riff, divaga e dilaga negli assoli, ma non perde mai la bussola. Le registrazioni di Past Lives non sono particolarmente cristalline, per usare un eufemismo (niente Martin Birch, qua, e la differenza si sente), ma quella che deve essere stata la resa del suono pazzesco di Iommi dal vivo si capisce. Perdendo dal vivo il sostegno delle tracce di chitarra stratificate (vedi gli assoli di War Pigs), ispessisce, anzi ingigantisce il suono e apre a visioni oscure, ancestrali. Lo sappiamo, non ve lo devo mica spiegare io, Iommi.

Ma questo per me è soprattutto il disco di Bill Ward. Batterista che ho capito finalmente ascoltandolo qui, a metà tra un fabbro ed uno sciamano. Che non arriva manco di striscio alla tecnica di Bonham, Pace, Peart. Ma se è questo il vostro argomento, sparite dalla mia vista. Ward è il miglior batterista possibile per i Sabbath storici ed è responsabile alla pari degli altri tre del Suono. Amo Ward. Che mena e martella, con le bacchette girate per pestare col lato ciccione. Perché a noi della tecnica non deve fregare un cazzo. Frega l’OSCURO, la FOGA, il FOMENTO. E quel mondo che solo i Sabbath, da soli, hanno generato dal nulla e per cui noi li ringraziamo ogni santo giorno. Bene, Ward di questo Suono è la mazzata e il ritmo. Grazie Bill, meritavi più considerazione.

In sostanza, questo live contiene un’informazione preziosa per chi, per anagrafe e non solo, a quei ’70 non ha assistito in diretta e sotto ad un palco. C’è il fatto, e non è liquidabile con le capacità tecniche dei singoli, che i Sabbath dal vivo suonavano quasi punk. Piano ora, non diventate maneschi, lo so che vi ho già toccato i Purple e il punk per alcuni di voi è troppo. Provate però a negare che un approccio così schietto, diretto, pesante non fosse da tutti e per tutti (sicuro non per i nostri zii in epoca prog). Che quasi tutti i pezzi non partono mica con un solfeggetto di chitarrina ma con un feedback che pare il latrato di un cane. Che Hole in The Sky e Symptom of the Universe sono rovesciate a volume e velocità inauditi per l’epoca sulle teste di un pubblico fortunato in attesa di Sabba e Malignità. Che in Megalomania, l’altra leccornia del CD di bonus, a un certo punto Ozzy non c’è la fa con gli strilli sempre più acuti, scende di un’ottava e continua ad officiare il rito, trascinante e sgraziato. Che la differenza tra i Sabbath e gli altri colossi dell’epoca (quindi tra noi e gli altri, ma dove vi collochiate voi con esattezza non lo so) non la fa un power chord ribassato in pentatonica. La fanno l’Energia, il Mistero, la Magia e la Sincerità vera di quattro ragazzetti working class che hanno cambiato il mondo, per lo meno il nostro. Il Metal nasce dai Sabbath. Se poi volete una bella fuga Bachiana sapete benissimo cos’altro ascoltare. (Lorenzo Centini)

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