Ma che è ‘sto fulmicotone? Le espressioni idiote che usiamo nelle recensioni

Un po’ di cose ve le ho già dette all’incirca due anni fa, in un pezzo la cui gestazione fu pressoché infinita. Vorrei però tornare sull’argomento, un vaso di Pandora che, se scoperchiato, rischia di rivelare una serie di orrori degni della nostra peccaminosa e malconcia specie. Fra il 2001 e fine 2006 scrissi, come vi raccontai, per una webzine di nome MetalManiacs, fondata da me medesimo e attiva su server Aruba. Dopo un po’, poiché il mio impegno e soprattutto la mia testa erano altrove, ne delegai la gestione ad altri, finché non si ruppero le palle pure loro. Una webzine era fatta di ruoli: webmaster, caporedattore (io, un derelitto fisso a fare partite di calcetto e ad ascoltare dischi della Bay Area, in pieno boicottaggio della fregna) e recensori. Mancava tuttavia un addetto alle pulizie, ossia colui che ciclicamente avrebbe dovuto – per semplice dovere morale – ripulire l’anfratto da coloro che vi entravano e vi stanziavano senza mai scrivere nulla, salvo poi swaggare di notte nei locali rock al grido “scrivo per una webzine”, il che era un altro boicottaggio della fregna bello e buono. Io non mi sentivo capace di ricoprire quel ruolo e vivevo la cosa alla stregua della combriccola fra amici, sebbene alcuni manco li conoscessi di persona. Avevamo persino un fotografo ma non fatevi fregare, non c’era niente di professionale in quello che facevamo.

Mi concentrerò oggi sui recensori. È idea comune che il recensore sia uno che ha tentato di sfondare con la musica e che per ovvi motivi è finito col criticare quella d’altri. Errato, almeno nel mio caso: ho sempre voluto fare due cover a tempo perso e per colpa dei chitarristi mi ritrovavo a incidere demo. I chitarristi sono il Male, chiunque ne è al corrente, ma purtroppo nessuno in politica ci ha mai sottoposto l’ipotesi di risolvere, una volta per tutte, l’annosa questione. I recensori, spesso, sono comunque dei disturbati, e se oggi dovessi impegnarmi in un’operazione alla Mindhunter per studiarne il comportamento opterei per scremare i più normali dai meno normali in base al genere di terminologie utilizzata all’interno dei pezzi. Perché alcune fra queste sono a dir poco rivelatrici, e li inseriscono di diritto fra i meno normali.

Logopedista

Andiamo con ordine.

Seminale – se-mi-nà-le – aggettivo: 1. Relativo al seme, nella sua funzione di corpo riproduttivo della pianta o dal punto di vista fisiologico.
È pazzesco quante volte sia riuscito a individuare il termine seminale in una recensione. Da Scream Bloody GoreSeven Churches avrete compreso che un sacco di roba degli anni Ottanta era seminale. Fortuna per noi che oggi non escono dischi che un giorno qualche criminale definirà mai tali, motivo per cui invecchieremo e ci spegneremo quando il suddetto fenomeno sarà completamente scemato.

Tellurico – tel-lù-ri-co – aggettivo: 1. Relativo alla Terra dal punto di vista geofisico 2. Di una profondità sconvolgente.
Terremoti e tettoniche a zolle sono spesso chiamate in causa allorché ci si accinge a descrivere qualcosa che spinge sui riff pesanti. È dunque un’altra cosa rispetto a “granitico”, su cui mi soffermerò subito dopo. Gli indiziati utilizzano il termine nell’ambito del power metal o heavy metal classico di stampo europeo, pur di distinguere quello buono da quello tastieroso e castrato che, al netto della pur presente velocità, rimarcava una onnipresente mosceria di fondo. Se è tellurico non ha a che spartire con gli Stratovarius dell’epoca d’oro o col migliore amico di Roberto Bargone, Chris Bay.

Granitico – gra-nì-ti-co – aggettivo: 1. Che ha l’aspetto e la struttura del granito (vedi: colonne).
Se proprio vogliamo restare in Europa, e sì che lo vogliamo, con il termine granitico entriamo in una realtà tutta acceptiana che dalla prepotenza tellurica di una Fast as a Shark si sposta in direzione delle ragionate e marziali strutture cadenzate di Balls to the Wall (e, aggiungo, man!). Riguardo al termine cadenzato che ho appena menzionato ci sarebbe da aprire un’ulteriore parentesi, ma eviterò.

Lisergico – li-sèr-gi-co – aggettivo: 1. In chimica organica l’acido carbossilico, che, se interpellassi mia moglie, poiché lavora in chimica e non poiché spaccia, ricondurrebbe il tutto allo LSD.
Non perché i Down abbiano intitolato quel pezzo in quel modo, ma perché ai recensori da sempre piace la suddetta terminologia, avrete individuato centinaia di articoli che narrano di album stoner o doom metal letteralmente imbrattati della parola lisergico. Che, senza troppi giri di parole, per chi scrive sta a indicare una musica dai lineamenti molto fattoni.

Pachidermico – pa-chi-dèr-mi-co – aggettivo: 1. Goffo, pesante, lento, grossolanamente insensibile.
In pratica un disco che un radical chic progressista LGBT non digerirà mai. Matt Pike, e non aggiungerei altro.

Riff al fulmicotone – ful-mi-co-to-ne – sostantivo maschile: nitrocellulosa a elevato contenuto di azoto nitrico.
Questo articolo doveva scriverlo mia moglie. Al fulmicotone: per indicare qualcosa di violento, repentino, impetuoso. Immagino decine di giovani appassionati di heavy metal che si sono avvicinati al mondo delle webzine non con l’ambizione di ribaltare una fallimentare carriera da imberbi musicisti ma per levarsi la repellente soddisfazione d’abusare anche una sola volta dell’espressione “riff al fulmicotone”. Il primo che lo fece non fu chiuso in un baule e destinato al fondo del Tirreno, ed eccone le conclamate conseguenze.

Monolite nero – mo-no-li-te – sostantivo maschile: il monolite è un blocco di pietra di grandi dimensioni, o opera di un sol pezzo ricavata da un grosso blocco di materiale. Alcuni alluderanno maliziosamente al cazzo.
I recensori adoperano il termine monolite per indicare un album tutto uguale, da cima a fondo, che per qualche ragione è piaciuto loro al punto di condizionarne la capacità di giudizio. Particolarmente abusato per descrivere il death metal degli ottimi e intramontabili Incantation, monolite diventa monolite nero se, come nel caso della band di John McEntee, si bestemmia con una certa continuità all’interno delle liriche.

Sound, platter, song, band, opener, refrain – Il Carrozzi adora tutti gli inglesismi, se lo incrociate da Obi mentre compra pinze per il barbecue domandateglielo pure.

Acceptiana, slayeriana, priestiana, motorheadiana – Ci casco molto spesso, e con “letteralmente” anche di più.

Caloroso sotto la crosta croccante.
È successo davvero. Una volta mi rifilarono la recensione di Antenna dei Cave In, un album che persino apprezzai. Ma lo apprezzai perché non ci avevo capito niente o lo apprezzai perché ne ero talmente sorpreso da non sapere cosa dirne? Morale della favola, iniziai a scrivere di dischi del genere (soprattutto se ci si addentrava nei meandri melmosi di indie rock e affini, dove ognuno descriveva senza fare capire niente di niente) facendo ampi giri di parole e scadendo in aggettivi che non stavano da nessuna parte se non nel foglietto illustrativo delle torte Cameo della linea versa e inforna. Non è per niente un caso che, al tempo in cui abitavo a Firenze Castello, il pomeriggio portassi a cacare i Cavalier King nei giardini antistanti la sede dell’Accademia della Crusca. (Marco Belardi)

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Villa medicea di Castello, sede dell’Accademia della Crusca nel bel mezzo di una città in cui nessuno è in grado di parlare l’italiano (Ph. Marco Belardi)

10 commenti

  • Giuro che incappo spesso in aggettivi tipo: “gargantuesco” (Lord F L ci ironizzava spesso) e “pantagruelico”.
    Aggiungo alla fornita e prestigiosa lista:
    acerbo
    grezzo
    fabbro
    pestone
    tecnico
    Chiudo con la ridondante teoria del “terzo disco” decisivo.

    variazione

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    • Oh si, la regola del terzo disco… che meraviglia. “Giunti alla fatidica soglia del terzo disco…” Quante recensioni avremo letto con questo incipit? Perchè non è ancora uscito un libro sulla storia dei terzi dischi con recensioni, approfondimenti e track by track di ogni fottuto terzo disco della storia del metal? Oppure ” I migliori 100 terzi dischi del metal”

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  • Oooooooh, quel che penso da anni. Quando leggo (e spesso leggevo pagando soldi buoni, finchè esistevano le riviste di carta) MONICKER, ROSTER, DRUMMING e sto cazzo di FULMICOTONE, mi viene l’orticaria e spesso chiudo lì. Basta.

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    • Quanto hai ragione Metallian, le espressioni in inglese secondo me sono sicuramente le piu idiote. La title track, la track list, il riffing… un mare di parole della minchia solo a dimostrare la stupidità e la povertà lessicale di chi scrive (e, secondariamente, di chi legge).
      Si potrebbe anche fare finta di niente se fosse solo un problema delle riviste virtuali gratuite, ma quando porca la puttana dei giornalisti ben pagati scrivono di question time, location e simili allora i conati diventano incontenibili.

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  • Pingback: Ma che è ‘sto fulmicotone? Le espressioni idiote che usiamo nelle recensioni – Blog Thrower

  • Mancano le rasoiate chitarristiche e gli assoli al cardiopalma, il resto è tutto perfetto. Che stronzi che siamo, comunque.

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  • Veramente un bel pezzo! A me sovvengono invece gli “stilemi”.

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  • Mi vengono in mente anche line-up, tracklist, setlist, eclettico, sporco, macigno, roccioso, le asce (al posto delle chitarre)… Comunque secondo me gli unici ad avere veramente un suono monolitico (per me in senso positivo) sono i sunn 0))).
    PS: all’ ITIS avevo appreso come fare il fulmicotone e anche dei simpatici giochetti con lo iodio che scoppiava lasciando aloni viola che sparivano dopo un paio d’ore… salvo scoprire anni dopo che era una pratica tutt’altro che salutare…

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  • Beh, del resto , recensioni tutte uguali, con termini tutti uguali – per gruppi che sono effettivamente tutti uguali.
    Tutto torna. Non è mica facile scrivere qualcosa di nuovo e originale al centesimo disco di brutal death che ti appioppano in redazione :-)

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  • Il ritmo sincopato…che vor dì?

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