Avere vent’anni: THE GATHERING – Souvenirs

Barg: Due palle quanto una casa. Questo è il sunto estremo di Souvenirs, la sua recensione perfetta, lo scimmiottìo rustico ma crudemente veritiero dell’epitaffio sublime con cui Cortesi salutò l’arrivo di quell’altro disco di merda a nome Lulu – che però, per amore di sincerità, era anche molto peggio di questo Souvenirs. Il quale non è neanche un disco brutto, attenzione: lo definirei piuttosto insulso, inutile, che non significa niente, che scorre via in sottofondo e ti fa sbuffare ed esclamare ma che palle ogni cinque minuti. Mia moglie, che non è molto tollerante, dopo aver sentito qualche secondo di ‘sta roba si è girata verso di me con lo stesso sguardo disgustato e colpevolizzante di quando mi scopre ad ascoltare, non so, I Cani. Però coi Cani posso giustificarmi parlandole dei testi, l’identificazione, il manifesto generazionale, le serate al Circolo degli Artisti etc, qua invece come mi posso giustificare? Perdonami, purtroppo è il ventennale e devo scrivere il pezzo: è l’unica scusante per mettersi riascoltare Souvenirs nel 2023, perché per il resto non è neanche buono per fumarci su. E non basta neanche la voce di Anneke, perché qua c’è davvero solo la voce di Anneke, la quale peraltro già aveva cambiato modo di cantare, sempre su toni flebili e delicati che ok e tutto quanto ma CHE PALLE, capisco l’amore giovanile ma era davvero solo quello che vent’anni fa mi permetteva di ascoltare più volte ‘sto disco senza riuscire ad ammettere che no, non era vero che è un altro genere ma è carino, non sarà Mandylion ma comunque in un modo diverso merita, no: è una rottura di palle e basta. Non so se avete presente le Coccole Sonore, ma le Coccole Sonore sono gli Slayer in confronto. E non perché questo sia un suono intimista, delicato, raffinato che io sporco buzzurro non capisco, ma perché è una lagna moscia, cantilenante, sfiatata e in definitiva una gran rottura di coglioni. In più qui dentro viene fuori tutta la spocchia da hipster olandese con gli occhiali che i The Gathering si portavano dentro e che gli faceva dire che i loro primi album erano immaturi e infantili mentre Souvenirs invece oh, che bijoux! Un disco maturo, raffinato, in cui poter finalmente esprimere sentimenti adulti e complessi. Giusto quindi sentirsi in dovere di pubblicare una roba del genere che dura UN’ORA e che dopo essere arrivato in fondo hai bisogno di sentirti i Last Days of Humanity per riprenderti. L’unico modo per rappresentare visivamente le conseguenze dell’ascolto di Souvenirs è riprendere questa vecchia vignetta di Leo Ortolani. Ora vi lascio al pezzo giustificazionista dell’avvocato, ma non fidatevi troppo.
L’Azzeccagarbugli: Dopo più di vent’anni è ormai ora di storicizzare il momento in cui diverse band metal, o di area metal, iniziarono a cercare di allargare il proprio suono compiendo incursioni in altri generi, tendenza che spesso ebbe esiti altalenanti. Tra questi artisti continuo a sostenere che i Gathering siano, insieme agli Anathema, quelli che hanno svolto questa transizione nel modo più consapevole e riuscito. Tralasciando il fatto che già nei dischi metal degli olandesi, in particolare Nighttime Birds e Mandylion, erano presenti influenze di altre aree, il percorso intrapreso a partire dal monumentale How To Measure a Planet? mostra estrema coerenza e chiarezza nelle intenzioni, indipendentemente dai risultati non sempre eccelsi, così come col precedente – comunque gradevole – If_then_else. Il punto di arrivo di questo percorso (anticipato dal bell’EP Black Light District) è Souvenirs, lavoro tanto ostico quanto affascinante che, per quanto mi riguarda, rappresenta uno dei migliori risultati del gruppo.
Souvenirs è stato bollato frettolosamente come il disco trip-hop dei Gathering e, se da un lato le sonorità di Bristol sono ben presenti in molti brani, come la splendida apertura di These Good People, Broken Glass o We Stop Breathing, dall’altro questo è uno dei lavori più complessi, ricchi ed eclettici dei Nostri, che non può essere così facilmente etichettato. Qui troviamo uno dei brani più “pesanti” della seconda parte della loro carriera come Even The Spirits Are Afraid, momenti di folk moderno a dir poco toccanti come You Learn About It, magnificamente arricchita da arrangiamenti che sembrano quasi figli dei primi Cranberries, fino a composizioni nervose e riuscitissime come Monsters e la conclusiva elettronica A Life All Mine, impreziosita dall’apporto di Garm degli Ulver. Inoltre qui troviamo la migliore interpretazione in assoluto di Anneke: mai così ricca, intensa e capace di cambiare in modo impressionante – anche dal vivo – registri e timbri.
Una chiusura di un percorso che per me rappresenta anche l’ultimo disco dei Gathering: perché il successivo Home, con la band in evidente crisi, è un lavoro stanco e privo di nerbo, mentre i successivi lavori, per quanto interessanti, vengono da una band diversa da quella che ha contato così tanto per me in quegli anni importanti.
Sarà che per me i The Gathering sono stati una ragione di vita, ma Souvenirs l’ho sempre trovato un gran bel disco, seppur molto ostico nei primi ascolti. Probabilmente l’ultimo veramente da ascoltare, già Home fu un buco nell’acqua clamoroso, mentre salvicchio diverse cose da quelli senza Anneke.
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…Alla fine comincio a domandarmi se mettersi a parlare di tutti questi dischi che compiono vent’anni abbia un senso. Forse ce l’ha per opere che rischierebbero l’oblio o che giustamente sono salite agli onori della storia del genere, ma mi sfugge l’utilità di parlare anche di dischi mediocri o pessimi (vedi i Marduk qualche giorno fa)… quando poi escono dischi meritevoli che vanno a finire nei recuperoni o rischiano l’oblio. Son cose del genere che mi fanno sorgere il dubbio che davvero il metal (o la musica pesante in genere) stiano diventando un genere per gli over 30 e non abbia un futuro. Secondo me non è vero ed escono ancora dischi eccellenti…
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Ciao secondo me oggi esce tanta musica nuova interessante soltanto che non riusciamo ad intercettarla e scrivere di conseguenza il nostro parere. Per esempio l’ultimo degli (Echo) è un gran disco ma qua nessuno ha scritto ancora nulla. Poi mi viene in mente Songs of salvation dei Dream Unending oppure Torch dei nostrani Otus.
P.S quando è arrivato il nuovo album dei Shape of despair o dei DSO ne hanno parlato poco dopo. Secondo me hai ragione in parte ma condivido in pieno il tuo pensiero
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Tante volte si parla di gruppi sottovalutati, ma nel loro caso a ragione. Io trovo interessante anche la fase successiva, Home ha dei pezzi strepitosi e la nuova cantante non fa certo brutta figura. Certo, fanno parte di quei gruppi che, partiti dal metal, hanno sviluppato un suono diverso e si sono dati un’aria “intellettuale” mantenendo però sempre quella malinconia che rende le loro composizioni toccanti.
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All’epoca dell’uscita avevo 21 anni, nonostante ascoltassi roba molto più “ignorante” avevo assorbito la loro evoluzione e dopo qualche ascolto attento avevo imparato ad amarlo.. fu difficile mandare giù l’abbandono totale del loro lato più elettrico, ma quella voce rendeva bella qualsiasi canzone o quasi.. infatti Home lo trovo riuscito solo a metà. Ho ascoltato qualcosa di ciò che è venuto dopo ma niente da fare, li ho persi dopo questo album..
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