Avere vent’anni: ABORYM – With No Human Intervention

Oggi che la storia del black metal norvegese è catalogata e sviscerata in libri, articoli e film disponibili sulle più diffuse piattaforme in streaming, possiamo ripercorrerne nel dettaglio l’epoca d’oro. Fino ai primi duemila il quadro era però rarefatto e distorto, tanto da farci percepire quegli anni come ammantati da un alone “magico”. Naturale che quell’eredità fosse ambita da molti. All’inizio del millennio a dominare la scena erano Satyricon e Immortal, almeno a livello d’immagine, ma nel 2003 sulla carta entrambi avevano già mollato botta. Fu l’anno dell’evasione di Varg Vikernes e dell’uscita di galera del leader dei Dissection. Ma, per lo più, il filone stava facendo casino solamente a livello mediatico. E qua in Italia si parlava continuamente degli Aborym, vuoi perché Attila Csihar ci aveva collaborato per poi entrare nella band, vuoi perché le interviste e le risposte a certe recensioni avevano un che di pazzesco.
Posso dire d’aver chiuso con With No Human Intervention – o poco oltre – con la band. L’esordio era l’album con le loro più belle canzoni. Il lato elettronico l’avevo sempre trovato poco integrato e soporifero, ma i primi due pezzi, sommati a Roma Divina Urbs e Metal Striken Terror Action, erano pura goduria, così come lo era lo sbrocco di Volgar. Il venerabile Yorga altrettanto. Francamente rimasi molto male col secondo disco, di cui salvai solo Our Sentence e la cover del Conte.
Credo che questo sia stato l’album con il quale gli Aborym lasciarono parlare la musica più che in ogni altra occasione. In quella fase avevano sufficienti argomenti da non doversi buttare su altro. Sebbene dalle interviste traboccasse lo spirito delle promozioni precedenti, e sebbene Set Teitan ci regalasse ancora frasi ad effetto, in With No Human Intervention apprezzammo il black metal. Con sotto una drum machine insopportabile, intermezzato dalla solita e talvolta superflua elettronica, ma black metal era, a cui si erano aggiunte persino nuove sfumature. Provenienti sempre dal black metal.
Il disco segnò inoltre il passaggio da Scarlet a Code666, la stessa dei Negura Bunget, e il lento sgretolarsi di una formazione che proprio nel 2003 Malfeitor Fabban definiva “una famiglia” sempre in corso di intervista promozionale. Lasciarono Attila Csihar rientrante nei Mayhem e Set Teitan in direzione Dissection; il tempo di pubblicare il discreto Generator con Faust alla batteria e lasciò Nysrok, un membro che ho sempre considerato fondamentale ai fini della riuscita del progetto. Fu lì che smisi di seguirli, sebbene il mio entusiasmo verso la band di Kali Yuga Bizarre si fosse già prosciugato al terzo album.
With no Human Intervention è il disco degli Aborym che più riesco ad ascoltare da cima a fondo. Non ha i lampi di genio del primo atto ma ha comunque una bella title track ad aprire le danze (meraviglioso il finale, quasi a ricalcare il crescendo della violentissima Our Sentence) e il loro più bel pezzo dopo Kali Yuga Bizarre, Faustian Spirit of the Earth. Ha anche una suite che lascia intravedere la volontà di spostarsi musicalmente altrove, The Triumph, anch’essa fra gli episodi più riusciti. Credo che in sostanza l’innovazione di With no Human Intervention derivasse dall’aver ripescato minuscole porzioni del black metal in voga all’epoca ed averle inserite nelle nuove composizioni: parlo della corrente depressive, in quegli anni fortissima grazie a uscite come The Funeral of Being di Xasthur e ad altri progetti troppo frettolosamente additati come figli del Conte ma in realtà dotati di idee autonome. With no Human Intervention non è affatto un album depressive black, è Aborym al cento per cento. Ma se leggete fra le sue righe con la dovuta attenzione ritroverete il depressive black metal contemporaneo in svariati punti dell’opera.
Peccato che dopo Generator le cose siano andate come sono andate. Ad ogni modo, che nel 2003 gli Aborym avessero toccato il loro apice o l’ultimo baluardo di completa credibilità prima di un imminente crollo verticale, questo qua rimane il testamento di una band estrema che non fece soltanto chiacchierare di sé sulle pagine delle riviste. (Marco Belardi)
Piccola correzione: il suicidio di Nödtveidt avvenne nel 2006, non 2003.
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Hai ragione, corretto il lapsus
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Mi piace il tirare le fila a freddo, dopo decenni, di un genere che non ho mai apprezzato più di tanto alla sua epoca d’oro proprio perché mi arrivavano prima le frasi d’effetto che la musica. Poi l’ho adorato in tutte le sue sfaccettature
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