Nebbie in Transilvania: NEGURĂ BUNGET – Zi
Un passo falso, all’interno di una discografia che va dal ‘molto interessante’ allo ‘spettacolare’, non dovrebbe bastare a farci disamorare di una band. Un secondo passo falso, però, rischia di mettere a repentaglio la stabilità di un bagaglio di stima costruito nel corso di una lunga carriera, più che altro perché non si capisce dove si voglia andare a parare. È precisamente ciò di cui stiamo parlando. Zi, secondo capitolo di una trilogia transilvana che non è proprio iniziata facendo i botti, per dirla tutta e subito, continua a non convincere perché fondamentalmente lento e di gravosa assimilazione. Detto quanto avrei dovuto dire per onestà intellettuale, proverò adesso a estrapolare gli aspetti positivi da tutta questa faccenda, se ve ne sono. Negru conferma la formazione che era stata totalmente rinnovata dopo l’incisione di Poartă de dincolo, il bellissimo EP che chiudeva concettualmente la seconda fase dei rumeni, quella di Om e Vîrstele pămîntului, che è la fase che preferisco perché era riuscita nel difficile intento di interpretare in modo personale un concetto ormai trito di black metal folkloristico, evolvendosi dalla solida base di bm ancestrale ed orrorifico di ‘n crugu bradului. Una formazione, dunque, tecnicamente abile ed efficace in quanto a utilizzo di strumenti tradizionali, flauti di vario tipo (nai e kaval), cui si aggiunge il solito tulnic, lo xilofono e lo stranissimo toacă, che punta tutto, dunque, sulle atmosfere per indurre l’ascoltatore in uno stato di riflessione e sospensione, traducendo in note ciò che più ispira la loro terra natia. È dunque questa la chiave per farsi piacere, eventualmente, questo secondo e ostico capitolo della trilogia transilvana: il dipinto oscuro e misterioso che è la Transilvania in sé. Andiamo oltre.
‘Oltre la foresta’, come abbiamo potuto intuire andandoci di persona, c’è un mondo pastorale le cui tradizioni sono ancora ben radicate e non ha nulla a che vedere sia con l’immagine superficiale che potremmo averne noi italiani, afflitti per troppo tempo dall’immigrazione di persone dalla dubbia moralità, sia con l’immaginario stokeriano dei conti dracula e dei vampirelli assetati di sangue. È un mondo semplice, come potrebbe esserlo quello della bassa emiliana o quello dell’Aspromonte, per esempio, che dell’inquietudine e del mistero ha solo ciò che riesce ad indurre la natura, nel caso transilvano le foreste inaccessibili ed ancora incontaminate. Noi stessi ne abbiamo avuto solo un pallido assaggio, ma forse è bastato. Una band che volesse omaggiare tutto ciò attraverso la musica non potrebbe che imboccare stilisticamente il sentiero che stanno percorrendo i Negură Bunget a partire da Tău e che li porterà a chiudere questa complessa trilogia, se non vorranno cedere alle lusinghe del mercato e alle lamentele di noi scribacchini, secondo coerenza. Al di là del concetto di bello/brutto, qui c’è da fare, se si vuole, un’ulteriore sforzo di immedesimazione. Volendo chiudere con un parallelismo che musicalmente è agli antipodi, penso di aver compreso dove i rumeni vogliano andare a parere solo dopo aver respirato l’aria di quei posti come, una decina di anni fa, arrivai veramente a capire i Sigur Ros dopo essere stato in Islanda. È un concetto, diciamo meglio, una sensazione che non sono in grado di spiegare bene a parole, anche perché è estremamente personale e risale all’aura e al mistero che un posto riesce a serbare inviolato ma anche a trasmettere a chi da essi è attratto. (Charles)
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