KATATONIA – Sky Void of Stars

Tra le riflessioni più frequenti che emergono dalle lunghe conversazioni che ho con Giorgio Heidegger (mio grande amico, filosofo di riferimento della redazione, colui che risplenderà davanti al sol dell’avvenire quando ci sarà la rivoluzione) vi è quella del progressivo impoverimento dell’ascoltatore contemporaneo, ormai impossibile da compiacere. Indipendentemente dalle scelte che una band decide di attuare, ci sarà sempre qualcuno (più di qualcuno) che avrà da ridire su di essa. In particolare:

– Se si rimane coerenti con una certa proposta “è sempre la stessa cosa! Allora mi ascolto i vecchi dischi!”;

– Se si attuano dei cambi di rotta o si vira in modo più o meno netto su altre sonorità, “ma perché non cambiano nome? Non sono più loro! Ma perché non suonano come nei vecchi dischi?”.

Questo abbrutimento nei giudizi è sempre stato presente (tanto più nel metal), ma negli ultimi anni si è trasformato in una deriva critica davvero avvilente, ulteriore sintomo del fatto che ormai i dischi si ascoltano nella maniera più sbagliata possibile: poco, distrattamente e male, non ritornandoci più e passando, in maniera quasi bulimica, ad altri ascolti. Tutta questa lunga premessa ci porta ai Katatonia, che rappresentano uno dei casi più emblematici del discorso appena intrapreso.

katatonia-sky-void-of-stars-Cover-Art

Una band dalla spiccata personalità che ha sempre mutato pelle sin dal principio e che, a partire da Night is the New Day, ha iniziato a lavorare su sonorità e suoni più puliti rispetto al passato, modificando in particolare l’ossatura ritmica delle nuove composizioni e inserendo elementi che possono rifarsi ad un certo progressive, svolta ancor più accentuata dall’ingresso del virtuoso Daniel Moilanen alla batteria.

Il “problema” è che gli ultimi album della band, pur essendo molto più “orecchiabili” dei loro predecessori, non sono affatto di facile lettura, sono meno immediati di quanto potrebbe sembrare e richiedono diversi ascolti e diverso tempo per essere decifrati. Sky Void of Stars non fa eccezione: ci troviamo anche questa volta davanti a un disco composto interamente dal cantante Jonas Renske che parte da dove finiva il precedente City Burials, senz’altro il lavoro meno “oscuro” degli svedesi, che si lasciava alle spalle alcuni tecnicismi che contraddistinguevano i due precedenti album.

Se, però, il precedente lavoro (non uno dei loro migliori) trovava la sua forza più nell’atmosfera generale che nelle singole composizioni, in Sky Void of Stars (evocativo sin dal titolo) troviamo una maggiore attenzione sulla costruzione dei singoli brani, che risultano molto più convincenti.

In poche parole, è un disco che ha i pezzi. E lo si intuisce sin dalla scelta dei singoli, semplicemente perfetta: Austerity e Atrium sono una sintesi a dir poco impeccabile dei Katatonia più recenti, ma hanno anche dei ritornelli davvero straordinari, impreziositi da una prestazione maiuscola del summenzionato Renske, connotata da un timbro molto più “rock” rispetto al passato. Allo stesso modo Birds ben rappresenta l’anima più violenta del gruppo e la straordinaria Opaline, con tanto di synth truzzi anni ’80, quella più vicina ad una certa new wave che si rinveniva (in modo ovviamente diversa) nel capolavoro Last Fair Deal Going Down.

opaline

Per fortuna in questo caso non sono solo i singoli ad essere riusciti e, con il passare del tempo e degli ascolti, anche brani che inizialmente sembravano più inconsistenti, come Colossal Shade o Drab Moon, svelano il loro potenziale; d’altro canto la malinconica ballata Impermanence, con Joel Ekelöf dei Soen alla seconda voce, non lascia indifferenti. A proposito di malinconia, laddove l’album, come il precedente, è musicalmente ben lontano dagli abissi di disperazione del passato, questo sentimento è sempre presente nei testi di Renske, molto suggestivi ed evocativi (su tutti, quello di Opaline).

Per concludere, al netto di qualche imperfezione (la finale No Beacon to Illuminate Our Fall non è particolarmente a fuoco), è il solito, ottimo, disco dei Katatonia, una band che anche dopo trent’anni non ha ancora smesso di cercare strade e soluzioni diverse restando comunque fedele ad una propria idea di musica. Perché alla fine, con buona pace di tutti i passatisti, la verità è che non esiste UN “suono classico” dei Katatonia (perché Brave Murder Day non suona come Discouraged Ones, che non suona come Viva Emptiness, etc), ma allo stesso tempo è impossibile non riconoscere immediatamente un filo comune a tutti i loro lavori, da Dance of December Souls a Sky Void of Stars, che emerge in modo preponderante soprattutto con il passare del tempo e degli ascolti. (L’Azzeccagarbugli)

14 commenti

  • Il discorso sulla bulimia degli ascolti è molto interessante. Gli ultimi 2 dischi mi avevano un po’ annoiato quindi stavo temporeggiando sull’ascolto di questo lavoro, ma adesso mi hai incuriosito

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  • Circa la bulimia negli ascolti il problema forse è che ci sono una miriade di gruppi che fanno uscire altrettanti dischi in mille piattaforme diverse che rendono il prodotto immediatamente disponibile. È ben diverso dall’aspettare un disco per mesi, risparmiare, andare al negozio di dischi, eventualmente ordinare e poi avere il disco tra le mani, l’aspettativa era molto più alta e si dedicava al disco il tempo che meritava. Forse c’erano anche meno soldi da spendere per cui era obbligatorio limitarsi negli acquisti, benché agli artisti arrivino solo le briciole…

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  • Non vedo l’ora di vedermeli dopo domani per la prima volta.

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    • Felice pure io di ri-vederli a Trezzo…sperando che siano in serata: ricordo ancora un concerto all’Alcatraz a dir poco imbarazzante dove non si capiva cosa cazzo stessero suonando.

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  • Boh, a me i due singoli non dicono veramente nulla di nulla. Come non mi dice praticamente nulla tutto ciò che i Katatonia hanno fatto dopo Viva Emptiness. E personalmente parlando non è questione di svolte stilistiche più o meno drastiche, perchè sono l’ultima persona che pretende da una band di rimanere cristallizzata su uno stile. Anzi…

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  • Non voglio convincere nessuno, anche perché trovo che il tentativo di farlo sia un atto totalmente inutile.
    Premetto: non mi piace veramente fino in fondo un disco dei Katatonia da più di tre lustri, andando a naso. Stavolta invece mi trovo piacevolmente stupito. I singoli presi da singoli non dicono molto. Rimessi nel flusso del disco invece funzionano alla grande. Sarà che non riesco a decontestualizzare, che sono abituato da sempre ad ascoltare album interi, non so.
    Mi trovo totalmente con il discorso dell’avvocato, comunque. Aggiungo solo che Impermanence è un capolavoro e che tutte le linee vocali del disco sono finalmente (ri)cantabili in auto. A parte l’ultima traccia che sì, è un rigurgito di prog fatto a cazzo di cane.

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  • Ormai inutili

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  • Io credo di avere ricevuto la prima delusione dai Katatonia in 30 anni.
    Dal mio punto di vista non hanno mai sbagliato niente ma questa volta manca qualcosa.
    I Katatonia classici esistono eccome e hanno avuto il loro apice con Last Fair Deal Gone Down, indipendentemente dalle differenze del sound, le melodie, le atmosfere e la malinconia permeante è sempre stato un cardine sul quale hanno sviluppato i loro album, cardine che con Sky void of stars è andato a crollare in buona parte.
    Credo che l’ascolto mi aiuterà, ma sono abituato ad ascoltare i Katatonia restando a bocca aperta, stupendomi sempre di più ad ogni canzone, non distraendomi o addirittura skippando i brani. Per tanto questo disco mi lascia attonito e la mancanza di Anders negli ultimi due album oltre che nel tour mi lascia davvero un cattivo presagio.
    PS: è sempre stato impensabile per me parlare in questo modo di loro, li seguo dal 94 ho abbracciato ogni loro cambio direzionale con entusiasmo, questa volta però…..

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  • A me la voce del tipo che canta in “Impermanence” fa veramente incazzare, secondo me ha rovinato il pezzo. Per il resto i Katatonia sono tra i pochi gruppi di cui apprezzo quasi tutta la discografia. Il disco nel complesso mi piace, ha qualche pezzo debole ma non così tanti come in City burials o Dead end Kings. Mi spiace comunque che Nystrom non partecipi molto alla scrittura dei pezzi, gioverebbe alla varietà dei loro ultimi lavori.
    Ho un po’ paura a vederli dal vivo, ci sono stati interi anni (mi pare quelli del periodo “the night is the new day” o giù di lì) in cui le voci soprattutto erano terrificanti, la rete è piena di video di concerti in cui Jonas non prende una nota neanche a pagarlo e i cori sono fatti tutti con una doppia voce acutissima e spesso fuori tono di Anders che somiglia a quella di uno che canta mentre Schwarzenegger lo tiene per le palle.
    Per me rimangono un (grandissimo) gruppo da ascolto solitario in cuffia.

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  • Io live li vidi da headliner nel tour di Great Cold Distance, al New Age di Roncade: suoni PERFETTI fin dal primo pezzo, bellissimo tutto, concertone. Questo nuovo disco smette di essere una scatola bellissima ma vuota, come gli album dei precedenti 15 anni, contenendo finalmente qualche cioccolatino il cui sapore resta piacevolmente…nelle orecchie

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  • I pezzi ci sono.
    Ma sono troppo leggerini.
    Purtroppo, come detto da qualcuno qui sopra, è venuto a mancare l’elemento cardine : la disperazione e il male di vivere.
    Sono pezzi soltanto un po’ malinconici, per carità, carini, ascoltabili, alcuni anche belli, ma non sento più quello struggimento che rendeva unici i Katatonia.
    Peccato

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  • non ho ancora sentito il disco. però il discorso iniziale ha senso.
    del resto, per la maggior parte degli ascoltatori la musica è qualcosa da mettere in sottofondo mente di fai la fonduta, stiri i calzini o rispondi su whatsapp a quello che ti deve vendere l’asciugatrice ma non risponde. La cosiddetta “musica liquida” ha anche privato i ggiovani ascoltatori (io mi considero un vecchio e pure invecchiato male) quella piacevole sensazione che avevi di sfogliare il booklet, leggerti le lyrics, le note… quei libretti che puzzavano inevitabilmente di plasticoso, ma era un odore che avevano SOLO i libretti dei cd. Quindi quanti sono poi, alla fine, quelli che si mettono seduti a ascoltare un disco? Però questo è un discorso generale.
    Sentiremo questo disco. Comunque, il fatto che mi piacesse Brave Murder Day non mi ha impedito di apprezzare Viva Emptiness e The Fall of Hearts che rimangono due grandi dischi, secondo me.

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    • Sì, è vero. Anche solo la ritualità dell’ascolto è cambiata. Attenzione, non sono ipocrita: utilizzo regolarmente lo streaming, ho un abbonamento come la gran parte del mondo a una piattaforma, ma anche lì conservo delle vecchie abitudini: ascolto l’album, per intero. Mi cerco i testi. Il disco mi piace molto? Lo compro. Si tratta, in generale, un disco che attendo molto? Cerco di sentire il meno possibile e aspetto la versione fisica. Tra l’altro, parlando del caso di specie, l’edizione fisica di Sky Void of Stars è davvero molto bella.

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      • Quoto. Sono un grande fruitore di musica liquida anche perché molta della roba che ascolto, specialmente non metal, è molto difficile trovarla in formato fisico. Quindi il mio buon abbonamento TIDAL lo ho. Ma la fruizione della musica liquida mi ha tolto parte dell’incanto. Per dire, una stronzata: quando comprai Legendary Tales una delle cose più belle del disco fu leggere Fabio Lione che nella sezione “ringraziamenti” mise “chesterfield reds”. Ora le lyrics, mentre ascolto, me le leggo online ma non è la stessa cosa.
        Quello che voglio dire è che poche persone dedicano tempo a ascoltare i dischi. Per lo più sentono musica mentre fanno altro. Io quando ascolto musica mi siedo e ascolto musica (quella nuova evidentemente. i dischi che conosco a menadito li posso ascoltare anche facendo altro, falciando il prato o preparando le frittelle alla mela).

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