Qualche considerazione sui nuovi singoli di Ozzy e Megadeth

Cominciamo con Ozzy. Osbourne, non il labrador del mio amico Lorenzo, che con l’occasione saluto. Pioggia di dichiarazioni sul diretto interessato, con la moglie, Sharon, che ne attesta le buonissime condizioni fisiche. Rendendoci tutti stranamente fiduciosi. Solo una settimana prima, intorno al dieci di giugno, la stessa aveva sentenziato che “la vita di Ozzy Osbourne si deciderà la prossima settimana” per mezzo di un importante intervento chirurgico. La realtà è che in qualche maniera, o in qualunque maniera, lei – con l’ausilio del produttore e musicista Andrew Watt – è riuscita a riportarlo in studio di registrazione e a ottenere la cosiddetta spremitura del dodicesimo album in studio del Madman (più l’aggiunta di Under Cover). Imponente anche stavolta è la flotta di ospiti coinvolti, da Trujillo dei Metallica a Taylor Hawkins dei Foo Fighters, deceduto in seguito alle sessioni di batteria condivise con Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers. Oltre a Zakk Wylde, Mike McCready e agli altri nomi di spicco, la notizia sostanziosa è che nel primo singolo Patient Number 9, title-track del disco, alla chitarra c’è un monumento come Jeff Beck. A dire il vero la Sharon aveva tentato di tirar dentro un altro veterano, niente meno che Jimmy Page, ottenendo in risposta un rifiuto davanti all’offerta comprensiva di 50 dollari, vitto e alloggio, bevute gratis, visibilità e un sacchetto di brigidini di Lamporecchio. La notizia del “no” secco di Jimmy Page ha messo sulle tracce del chitarrista Adriano Galliani del Monza, il quale starebbe tentando di portarlo all’ombra del Brianteo con la formula del prestito con diritto di riscatto.

Il singolo è caruccio eppure mi lascia con un certo amaro in bocca. Di lunga durata, all’incirca nella misura di No More TearsPatient Number 9 ammicca sin dall’introduzione agli anni Ottanta (risate isteriche da sanatorio e un tono generalmente orrorifico) spostando l’attenzione sulla carriera solista del Madman piuttosto che sui suoi trascorsi nei Black Sabbath. Il che non sarebbe nulla di strano, non fosse che tutto quel che è uscito dopo Ozzmosis ha abbracciato una deriva che nulla aveva da spartire con il segmento cruciale della sua discografia. Il sentore fortemente radiofonico che caratterizzava Ordinary Man (e che ne era l’assoluto punto di forza) non è assente; semplicemente stavolta non è dominante. Risalta piuttosto il basso, talmente in primo piano che ad alti volumi tira giù i muri; a proposito, occhio a non ascoltare Patient Number 9 su un supporto audio di infima qualità poiché ne otterreste la sensazione che la produzione sia piuttosto impastata. Ordinary Man girava benino un po’ ovunque, ma il confronto fra le rispettive tracklist lo faremo fra un paio di bollenti mesi vissuti in balia di stoner rock e cocomero.

Ma lasciamo perdere Ozzy Osbourne. Sono tornati in scena anche i Megadeth, anch’essi in seguito a un’infinita scia di chiacchiere sulla salute in bilico dei membri, nuovi bassisti, imponenti crociere, nonché Ellefson nelle vesti di ex pastore reinventatosi nebulizzatore. Se volete sputtanare dei soldi vi consiglio tuttavia di acquistare il Dyson AM10, ventilatore e nebulizzatore d’alta fascia, piuttosto che entrare nel giro delle chat come ha fatto l’autore del celebre giro di Dawn Patrol.

I Megadeth usciranno con un nuovo album a settembre, per la precisione il secondo giorno del mese. Esattamente sette giorni prima di Ozzy Osbourne. Il titolo sarà The Sick… The Dying… and the Dead!, un autentico compendio di disagio fra puntini e punti esclamativi nonché un patologico rivangare il passato che affligge Mustaine dai tempi di Recipe for Hate… Warhorse, Never Walk Alone… A Call to Arms o Schiacciata Buona… Chiesanuova… non Antico Vinaio. In realtà il singolo We’ll be Back procede spedito come una palla di cannone, pur sacrificato da una veste sonora merdosissima a causa dell’eccessiva compressione. Inutile tenere Dirk Verbeuren e prim’ancora Chris Adler se poi appioppi alla batteria il peggior suono possibile. Sembra, cane dell’onnipotente, di sentire i midi adoperati da Wagner Lamounier nell’occasione in cui tale Eugenio gli programmò le linee di batteria di Hate del 1994. Non è possibile che uno che ha ottenuto i suoni di Rust in Peace (l’eccellenza sonora un attimo prima del tumultuoso trionfo del downtuning) scelga, accetti e infine confermi  di desiderare una batteria di merda come la qui presente. Suoni a parte – accidenti a lui – l’intesa con Loureiro è ancora una volta ottima, il che ci rende felici, anzi felicissimi. La seconda parte del brano è talmente dinamica e ispirata che ci sentiamo per un attimo tutti un po’ Dave Ellefson, al punto, fazzoletti alla mano, di dimenticare i chiari rimandi a Set the World Afire e Good Mourning/Black Friday di cui a ragion veduta si è tanto parlato nei giorni scorsi. Promossi con riserva: del resto si tratta pur sempre del successore di un capitolo riuscito come Dystopia.

Nota a margine: nel cercare su Google la data di uscita di The Sick eccetera eccetera, il motore di ricerca mi sottopone le domande più frequenti fra cui, meravigliosa, “is Megadeth faster than Metallica?”. Ma con quali cazzo di dubbi va a letto la gente? (Marco Belardi)

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