Il disco solista di SAKIS TOLIS rievoca i vecchi Rotting Christ

Nel libro ufficiale sui Rotting Christ, Non Serviam, più volte Themis Tolis ripete il concetto che lui non si diverte più a suonare la nuova musica della banda. Il problema, secondo lui, è nato quando il fratello ha scoperto la tecnologia di registrazione digitale, tendendo quindi sempre più a concentrarsi sulle ritmiche trascurando la scrittura di riff. “Mio fratello era un genio del riff, ma ora non ne scrive quasi più”, il suo grido di dolore. Effettivamente a partire da grossomodo Genesis (2002) i Rotting Christ cambiarono totalmente approccio, perdendo quell’andatura morbida e melodica per adottare ritmiche marziali, spezzate, ossessive, sempre meno basate sui giri di chitarra. La cosa si è via via acuita al punto che negli ultimi loro dischi le canzoni strutturate sul riff si contano sulle dita di una mano.
Ora invece Sakis fa uscire il suo primo disco solista e, sorpresa! È un ritorno a quel vecchio approccio. Il riff ritorna centrale, le melodie si fanno più variegate e le ritmiche meno ossessionanti, tanto che moltissime delle idee qui presenti potrebbero benissimo risalire alla seconda metà degli anni Novanta. Probabilmente è un disco che a Themis piacerebbe molto, ma purtroppo non è della partita, dato che alla batteria qui c’è Fotis Bernardo, ex Necromantia e Septicflesh (tra gli altri) e attualmente nei Nightfall.
Among the Fires of Hell è poco più di un divertissement. Sakis lo ha concepito durante la pandemia e ha iniziato a caricarne i pezzi sui suoi profili social, allo scopo di distribuirlo gratuitamente. Tutto rigorosamente autoprodotto e in formato digitale. Ricorda le atmosfere dei vecchi Rotting Christ, grossomodo quelli del periodo gotico, comprendendo anche Triarchy of the Lost Lovers nella definizione. I ritmi sono cadenzati, le chitarre intessono continuamente riff morbidi e sognanti, le tastiere contribuiscono a dare un respiro arioso. Ed è frequente trovare qui e lì citazioni della band principale, a partire da quella I Name you under our Cult che prende il nome dalla celebre parte narrata di Exiled Archangels.
Le citazioni non sono solo testuali: We the Fallen Angels ricorda paurosamente Athanati Este, o quantomeno una versione soffice di quest’ultima, e giri come quelli di The Dawn of a New Age, Ad Astra o della citata I Name you under our Cult sembrano usciti dal 1997. L’autocitazionismo è talmente spinto da funzionare anche in ottica futura: il giro dell’omonima è quasi uguale a quello dell’ultimo singolo dei Rotting Christ, uscito pochissimo tempo fa. L’unica concessione al moderno è l’ultima Nocturnal Hecate, che ricalca i pezzi conclusivi degli ultimi album, da ΧΞΣ in giù.
Questo è comunque un disco che può interessare solo a chi apprezza i Rotting Christ della seconda metà degli anni Novanta. Se non vi piacciono, non perdete tempo ad ascoltare Among the Fires of Hell; se non li conoscete, andate prima a recuperare quelli. Per gli appassionati, invece, questo album è una piacevolissima madeleine che ci riporta a quell’epoca. Non è un capolavoro, non sposta nulla nella storia di Sakis e dei Rotting Christ, non porta avanti il discorso di un millimetro. Però è comunque molto gradevole da ascoltare senza troppi pensieri. E poi Themis aveva ragione: Sakis è proprio bravo a scrivere riff. (barg)
Ottima recensione. A me piaciuto molto, ma ovviamente non faccio testo
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dopo mesi, è stabile nella mia playlist, forse il disco che sto ascoltando di più di quelli recenti. mi dispiace solo che un tale gioiellino non venga stampato.
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